In questi giorni è circolata su quotidiani e siti di informazione la notizia dell’annullamento da parte della Corte di cassazione della condanna per furto di un senzatetto che aveva rubato qualche cosa da mangiare in un supermercato. Anche il Fatto quotidiano, giornale in genere molto attento alle notizie di ruberie e relative punizioni, riporta la vicenda con toni apparentemente asettici, sotto il titolo “Rubò formaggio e würstel per fame: non è reato”.
I FATTI. Cosa è successo? Un «giovane senza fissa dimora» e «cittadino dell’Est europeo», tale Roman (così il Fatto chiama l’imputato di questo processo), è stato appunto sorpreso a rubare in un negozio «würstel e formaggio per un valore di 4 ero e 7 centesimi». Se li è infilati in tasca pagando alla cassa solo una confezione di grissini. “Beccato” prima di riuscire a uscire dal locale, condannato a sei mesi di carcere con la condizionale nel 2015 dalla Corte di appello di Genova, è stato assolto definitivamente dalla Cassazione «senza rinvio» perché secondo il supremo tribunale «il fatto non costituisce reato», come spiega il quotidiano diretto da Travaglio.
IL MOTIVO. Per altro, precisa sempre il Fatto, il ricorso al terzo grado di giudizio era stato deciso dallo stesso procuratore generale della Corte di appello di Genova (il tribunale che aveva condannato l’uomo), il quale «chiedeva per l’imputato, non l’assoluzione, ma uno sconto di pena con la derubricazione del reato da furto lieve in tentato furto dal momento che Roman era stato bloccato prima di uscire dal supermercato, dopo essere stato notato da un cliente». I giudici della Cassazione invece si sono spinti oltre, valutando come non punibile un furto compiuto (o meglio tentato) per “bisogno”, ovvero per «far fronte» alla «imprescindibile esigenza di alimentarsi».
UN CASO PIETOSO. La notizia, come detto, non ha fatto sollevare molte sopracciglia, e ci mancherebbe. Filippo Facci però nota una “stranezza” del caso che vale la pena di considerare. Nella sua rubrica in prima pagina su Libero, il giornalista ammette che in effetti «non c’era certo da accanirsi» sul pover’uomo che non poteva permettersi neanche di spendere 4 euro per mangiare. «Cosa può fare un magistrato in casi come questo?», si domanda Facci. La risposta è semplice: un magistrato dovrebbe fare «come sempre», e cioè «chiedere il minimo o derubricare il furto in tentativo di furto e poi chiedere la condizionale più una multa la più bassa possibile», proprio come ha fatto il procuratore genovese rivolgendosi alla Cassazione.
COMPLICAZIONI. Ma anziché limitarsi a valutare la correttezza della richiesta del magistrato, spiega Facci, «la Cassazione è entrata nel merito (e non potrebbe) e ha deciso che “egli si impossessò di quel poco cibo per far fronte ad una immediata e imprescindibile esigenza di alimentarsi, agendo quindi in stato di necessità”». Di qui l’assoluzione. Storia conclusa, tutto bene quel che finisce bene. Perfetto. Peccato che, osserva ancora il giornalista di Libero, «la Cassazione dovrebbe orientare la giurisprudenza, non inventarsela, non complicare le cose ponendo anche problemi su come giudicare l’effettiva fame di un tizio, o indagare sulla presenza di una Caritas nei dintorni, o rischiare di sistematizzare – visto che il tizio aveva già rubato – che in generale i barboni, in Italia, possono rubare cibo al supermercato». Evidentemente però nessuno in Italia si sorprende più quando la magistratura pretende di fare «un mestiere che non è il suo».
Foto furto da Shutterstock