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Ilaria, 1462 chilometri a settimana per abbracciare sua figlia

Ilaria ha 31 anni, è un'insegnante pugliese che vive e lavora a Milano. La sua famiglia è rimasta al Sud. La sua vita a metà è iniziata nove anni fa, quando ha fatto le valigie nella speranza di un posto fisso che non è ancora arrivato. Questa è la sua storia, la storia di mia sorella

Paola D'Antuono
25/01/2012 - 19:38
Società
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Ilaria ha 31 anni ed è mia sorella. Racconto la sua storia non per fatto personale (un po’ sì, sarò sincera) ma anche perché è emblematica e – purtroppo – assai comune a molte ragazze del Sud. Questa è la sua storia, la storia di una madre che lavora, crede in quello che fa e, soprattutto, per farlo deve vivere lontano dalla sua famiglia. Ilaria ha iniziato a lavorare come insegnante quando aveva 23 anni ed era una studentessa di Lettere moderne. Lo ha fatto consigliata da sindacati e professori di vecchia data che le ripetevano in coro: «Prima inizi, prima riuscirai ad avere un contratto a tempo indeterminato». Così ha fatto e per sette anni la sua vita si è divisa tra Milano, dove insegnava, la Puglia, dove vivevano i suoi affetti e la sua famiglia, e l’Abruzzo, dove studiava. Con la tenacia tipica dei meridionali Ilaria è andata avanti per sette lunghi anni, ingoiando rospi e promesse, mentre i ministri e le leggi cambiavano e per lei la chimera del posto fisso era sempre più lontana. Nel 2008 si sposa e poco dopo diventa madre di una splendida bambina. Il tempo passa e Ilaria si chiede quale sia la soluzione migliore per la sua famiglia: suo marito non può lasciare il lavoro ottenuto dopo anni e fatica e lei deve ancora lavorare al Nord se vuole assicurarsi il famigerato posto a tempo indeterminato e un secondo stipendio in famiglia.

Così nel settembre del 2011 Ilaria torna a Milano e viene a vivere con me, lontana dalla famiglia e con quella strana sensazione di sentirsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, un terzo incomodo all’interno di una famiglia appena nata. Ma la voglia di lavorare e di riavvicinarsi a sua figlia è il vero motore che la spinge a resistere. L’inizio della scuola segna per lei l’inizio del calvario: le immissioni in ruolo (questo è il nome tecnico dei contratti a tempo indeterminato nella scuola) vanno a rilento e il suo turno sembra non arrivare mai, eppure non sembrava così lontano nove anni fa. A ogni graduatoria pubblicata, la delusione puntualmente torna: nemmeno questa volta tocca a lei. Sua figlia, intanto, ha quasi tre anni e va all’asilo: attorno a lei il padre e i quattro nonni fanno l’impossibile  – e ancora di più – per non farle sentire quanto possa essere devastante la mancanza di una mamma. E mia sorella passa cinque giorni su sette a incastrare voli, treni e autobus che le permettano di tornare dalla figlia, lottando contro un senso di colpa che le impedisce di dormire. A settembre la situazione trasporti sembra ottimale: c’è un aereo che da Milano la porta a Foggia che le consente di essere a casa il venerdì sera e ripartire il lunedì mattina. È costosissimo e richiede ingenti sacrifici in termini economici, ma ne vale la pena. A dicembre, però, arriva la stangata: l’aeroporto di Foggia chiude, i costi proibitivi dei voli scoraggiano le compagnie aeree che si trovano a viaggiare con aerei vuoti. Ilaria ingoia l’ennesimo rospo, con un atteggiamento e una forza di volontà che forse non comprendo perché non sono ancora madre. Va avanti, per sua figlia e per suo marito, riprende in mano l’agendina, cancella tutto e riparte. Dal lunedì al venerdì il computer diventa il suo migliore amico: incastra voli low cost, autobus notturni e treni, cerca tutte le soluzioni per poter tornare a casa nei weekend. Ma gli aeroporti più vicini sono a 180 km di distanza da casa e non hanno collegamenti con la sua città. La prima soluzione è da mettere da parte, potrebbe tornare utile in casi eccezionali. Non resta che affidarsi alle ferrovie: peccato che il Sud non attraversi un buon momento  – per usare un eufemismo –  da questo punto di vista.

La nostra città natale (San Severo) negli anni ha subito un declassamento dietro l’altro e ora solo qualche Intercity e qualche espresso notturno passano da qui. L’unica soluzione è salire su un Frecciabianca (denominazione troppo ottimistica per definire i treni Eurostar) e scendere a 61 chilometri di distanza da San Severo. Alla stazione molisana di Termoli qualcuno finalmente la porterà a casa il venerdì sera, in tempo per dare la buonanotte alla bambina. Il ritorno è scomodo ma necessario: partenza la domenica notte da un paesino vicino e arrivo a Milano alle 7 del giorno seguente. Qualche ora di riposo e alle 12 si corre a scuola. Questo è la vita di Ilaria, una vita che fa conti con mille ostacoli: l’ultimo della serie è costituito dagli ormai frequenti scioperi dei treni (come quello che partirà domani), che la costringono a viaggiare di notte e percorrere 1462 chilometri in due giorni. Le domande sono sempre le stesse: «Perché non hai portato con te tua figlia? Perché non sei rimasta con lei? Perché non torni a casa?». A questi perché c’è solo una risposta: Ilaria, come tante altre mamme lavoratrici, ha fatto con coraggio la scelta più dolorosa per lei e ha lasciato che sua figlia potesse contare sull’affetto di quattro nonni che conoscono il sacrificio del lavoro e su un padre che l’ama più di ogni altra cosa al mondo. Ilaria non può tornare a casa perché lei ha rispetto e amore per il suo mestiere di maestra elementare e ha bisogno di lavorare, per se stessa e per la sua famiglia. Ma Ilaria combatte ogni giorno con persone poco sensibili che non le offrono un aiuto perché «tutti a questo mondo abbiamo i nostri problemi», combatte con il sistema trasporti italiano che ha completamente dimenticato il Sud di questo paese, combatte con gli sguardi compassionevoli di chi chiaramente sta pensando: «Ma come si fa a lasciare una bambina piccola? Io non l’avrei mai fatto», combatte contro il sistema scolastico italiano che da nove anni la tiene sulle spine, combatte contro la tortura di non poter vivere ogni giorno accanto alla propria famiglia, combatte contro quei momenti in cui deve spiegare a sua figlia che deve andare a lavorare, combatte contro chi pensa di avere una soluzione. E intanto aspetta e spera che un giorno arrivi quel posto tanto atteso, che le faccia ritrovare la speranza di poter tornare a casa e costruire il suo futuro assieme a sua figlia e a suo marito.

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