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Il suprematismo di Beppe Sala (con il fiato di Repubblica sul collo)

Chi ha insegnato al sindaco di Milano a partire lancia in resta nel cuore di una grave crisi come l'emergenza coronavirus, e proiettarsi verso la ricandidatura 2021?

Luigi Amicone
26/04/2020 - 2:30
Politica
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Beppe Sala

Cronache dalla quarantena / 43

Insomma, Pasolini profeta? Non esageriamo. «Un nuovo fascismo a patto di chiamarlo antifascismo»? Però. Vietate le Messe e inviati i carabinieri anche in chiesa, il Viminale ha autorizzato le celebrazioni (quindi gli assembramenti) per il 25 aprile.

Che il comunismo italiano sia stata l’evoluzione del fascismo mussoliniano con altri mezzi, non cessa mai di stupirci. Quanto più il Pci, il più grande partito comunista che si sia affermato in Occidente e nella forma di organizzazione legale pervasiva e capillare, scompare all’orizzonte alle nostre spalle, tanto più riemergono nelle tipiche celebrazioni della Repubblica i cascami di un’ideologia spontaneamente totalitaria. 

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Dicevamo ieri della grande via Cristoforo Colombo, sede di Repubblica, arteria che doveva dare lo sbocco di Roma al mare e traversare il quartiere Eur dell’Expo al tempo del Fascio. Adesso. Adesso, a un manager come ce ne sono tanti – Giuseppe Sala, per gli amici Beppe – prima capita la fortuna di essere messo a capo dell’Expo (da Letizia Moratti) e poi la fortuna di essere ancora capo dell’Expo nell’anno in cui il sole di Matteo Renzi brilla alto nei cieli come il sole del Duce brillava al tempo dell’altro Expo. Infine, sull’onda del fortunatissimo Expo, Sala si ritrova sindaco di Milano.

Adesso, ci vuoi spiegare perché hai dovuto mettere insieme (per condire la polemica con la Regione Lombardia sui vecchietti vittime del virus) la sfortuna di aver dato un pessimo esempio (i famosi hashtag e aperitivi) in quella ultima settimana di febbraio di esplosione dell’epidemia, con affermazioni suprematiste tipo «la differenza con Fontana è che io sono oggettivamente più libero di lui»?

«La differenza tra Fontana e me è che io oggettivamente sono più libero. Sono un sindaco indipendente, che fa riferimento a uno schieramento di centrosinistra, che rispetto e verso il quale mi comporto con lealtà, ma ragiono con la mia testa».

Bontà sua, il sindaco Sala è dunque «oggettivamente» «più libero» «indipendente» «leale» «rispettoso» e «ragiono con la mia testa» del governatore leghista Attilio Fontana, che pure è stato eletto con uno sfracello di voti e un consenso popolare che Sala si sogna.

Ora, chi ha insegnato al sindaco di Milano a partire lancia in resta nel cuore di una grave crisi e proiettarsi verso la ricandidatura 2021, consapevole di questa «oggettivamente» superiorità morale e antropologica di un uomo di sinistra sì, ma come tutti gli uomini di sinistra, «oggettivamente» più libero, indipendente, rispettoso, leale di un qualsiasi interlocutore di centro, destra o sovranista sia? Dov’è che ha imparato «che io sono oggettivamente più libero» dell’avversario politico in Regione, stando così facilmente a sinistra, con «lealtà» e «rispetto», ma anche da «indipendente» e «ragiono con la mia testa»?

Un passo indietro. La Repubblica. Parabola di un giornale che non è nato soltanto con l’obiettivo di fare il pullman con cui Carlo De Benedetti ha infine salvato Eugenio Scalfari dal fallimento e le sinistre da una eterna estromissione dal governo. È stato anche un fenomeno di potere culturale. Capace di conquistare all’ideologia che in Italia ha rappresentato la continuazione del fascismo con altri mezzi, le maggiori professioni. E di annettere la borghesia alla professione di una onesta fede “antifascista”.

Invece della Bastiglia (che non è mai esistita in Italia se non nel segno della continuità con l’8 settembre badogliano del 1943) l’originario progetto combinato L’Espresso–La Repubblica puntò a prendere il pallino della società. Puntò a favorire la progressiva laicizzazione e protestantizzazione delle classi medie (con la tiritera ricorrente, fosse nel nome di Lutero o di Prezzolini, de “la Chiesa Cattolica è arretratezza, la Riforma non è mai passata in Italia”) in nome di una “modernità” della quale la “chiesa” di Repubblica è stata al tempo stesso sacerdotessa celebrante e dispensatrice di simboliche tessere e vere carriere, denari, riconoscimenti.

Mai e poi mai, dagli anni Settanta ad oggi, si è vista una sola scuola statale o un solo premio giornalistico o un solo intellettuale Saviano o un solo Salone internazionale del libro di Torino che non fosse all’insegna della nota irregimentazione. Non è più soltanto la vecchia idea di “egemonia gramsciana”. Che era cosa viva, comunque, sfidante e volitiva. No. È solo inerzia di un conformismo impiegatizio organizzato e pervasivo.

Volevo qui rievocare da dove viene (oltre al trentennio di filosofia degli schiavettoni tradotta oggi dal virus in arresti domiciliari per tutti) la odierna depressione intellettuale, economica, sociale, civile. Combinata con uno straordinario processo di ricentralizzazione delle articolazioni statali su Roma invece che di riforma tout court dello Stato.

Mi accorgo che, come si dice in gergo, sto andando lungo. Dunque, per farla breve.

Punto primo, bisognerebbe dire dei poteri tecnocratici e finanziari che accompagnarono l’Opa di Repubblica sul Pci (a partire dal 1981 di trionfo referendario abortista) lanciata da Scalfari (che oggi non ce la fa proprio a compiere analoga operazione col Papa) con la famosa intervista a Enrico Berlinguer (ancora attuale per la riedizione a cura di Luca Telese ma soprattutto perché continua a fare da sfondo ideologico al giustizialismo in tutte le salse).

Secondo, conseguenza del punto primo, come e perché Repubblica diventa il Principe divulgatore di una supposta “superiorità morale e antropologica” da parte della sinistra (ça va sans dire) “democratica e antifascista”.

Terzo, come anche con il tramonto di questa storia (vedi articolo di ieri) una élite intelligente e fortunata dell’ordine del sindaco Giuseppe Sala, senta ancora il fiato al collo di quell’Opa là, iniziata il 28 luglio 1981. 

Questa è una foto della lunga marcia di una presunta “modernizzazione” dell’Italia che non è mai esistita. Come non è mai esistita la famosa “rivoluzione” sessantottina se non, come dice bene Pier Paolo Pasolini nella sua poesia della tradizione, fenomeno di borghesi destinati a rappresentare “nuovo capitalismo” e “nuovo fascismo”.

Adesso arriva il Covid. Arriva quando la stagnazione italiana è la notizia di prima pagina del Sole 24 Ore ormai da anni. Non ce la faremo con i poteri opachi e invincibili (cfr Io sono il potere, Feltrinelli, febbraio 2020) che vengono su dalla pur grande storia repubblicona. Non ce la faremo con i Beppe Sala «oggettivamente» superiori e «Fontana è meno libero di me». Ce la faremo, forse, con il ritorno delle lucciole. E della politica. Suprema forma di carità e di unità nazionale. Se fondata sulla libertà delle menti e della libertà della società vs l’egemonia dello Stato.

Foto Ansa

Tags: antifascismoattilio fontanaBeppe SalaCoronavirusCovid-19eugenio scalfarifascismogiuseppe salalombardiaLuigi Amiconepier paolo pasoliniquarantenarepubblicasanità lombardia
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