
Il regime a Hong Kong condanna la democrazia a 245 anni di carcere

Duecentoquarantacinque anni e cinque mesi di carcere. Il braccio giudiziario del regime di Hong Kong, teleguidato da Pechino, ha seppellito ieri il movimento democratico della città sotto una valanga di sentenze durissime, condannando 45 tra attivisti, giornalisti e politici per il reato di «cospirazione al sovvertimento del potere statale», con pene che vanno dai quattro ai dieci anni di prigione.
Il processo dei “45 democratici”, la maggior parte dei quali si trova in carcere dal gennaio 2021, è il caso più eclatante di violazione dei diritti umani e di azzeramento dei diritti civili a Hong Kong da quando la Cina ha introdotto a forza e in modo illegittimo la legge sulla sicurezza nazionale nella mini Costituzione dell’ex colonia.
«Il processo è una farsa», dichiara a Tempi Mark Sabah, direttore per il Regno Unito e l’Unione Europea della fondazione Comitato per la libertà a Hong Kong. «I 45 condannati non hanno violato alcuna legge. Hanno soltanto esercitato i propri diritti garantiti dalla Costituzione: libertà di associazione e di espressione».
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Il “reato di democrazia”
Tra le personalità condannate ci sono alcuni degli esponenti più in vista del movimento democratico di Hong Kong: il docente di Giurisprudenza Benny Tai (10 anni), uno degli iniziatori nel 2013 del movimento Occupy Central with Love and Peace per chiedere il suffragio universale; Joshua Wong (4 anni e 8 mesi), uno degli attivisti più giovani e noti dell’isola; Wu Chi-wai (4 anni e 5 mesi), presidente del Partito democratico, che a Tempi pochi mesi prima dell’arresto denunciò la repressione del regime comunista; la giornalista Gwyneth Ho (7 anni), diventata famosa per aver filmato l’aggressione ai manifestanti pro democrazia nella stazione della metropolitana di Yuen Long, dove anche lei è stata aggredita.
Tutti sono stati accusati di aver organizzato l’11 luglio 2020 le primarie del fronte pandemocratico o di avervi partecipato come candidati. L’obiettivo delle primarie, come in ogni parte del mondo, era quello di selezionare i candidati migliori per provare a ottenere la maggioranza al Consiglio legislativo nelle elezioni parlamentari che si sarebbero dovute tenere il 6 settembre di quell’anno.
I 45 democratici (due altri arrestati sono stati assolti) sono insomma stati condannati a un totale di 245 anni di carcere per aver cercato di partecipare alle elezioni per vincere. Una sorta di inedito “reato di democrazia”. Come dichiarò dopo il loro arresto Lee Cheuk-yan a Tempi: «Le accuse sono inimmaginabili, ridicole, irrazionali. Com’è possibile che organizzare le primarie per le elezioni sia considerato illegale e sovversivo? La verità è che la Cina ha appena affermato che la stessa Costituzione di Hong Kong è sovversiva».

Il messaggio ai giovani di Hong Kong
«Le autorità di Hong Kong vogliono far credere al mondo che queste 45 persone siano dei criminali, ma organizzare primarie non costituiva reato per la legge», spiega ancora a Tempi il direttore europeo del Cfhk, Sabah. «Queste condanne esorbitanti rappresentano un messaggio da parte delle autorità di Hong Kong e della Cina per tutti i giovani che ancora vogliono combattere per il futuro democratico della città».
Il messaggio all’intera città di Hong Kong, riassume Sabah, non potrebbe essere più chiaro: «Se fate qualcosa che risulterà sgradita al regime di Pechino finirete in prigione oppure in esilio. I vostri diritti sono finiti, ormai comandiamo noi: arrendetevi, obbedite o passate il resto della vostra vita in carcere».
«Ci porteranno via tutto»
I 45 democratici avrebbero dovuto essere giudicati da una giuria popolare, ma come previsto dalla legge sulla sicurezza nazionale made in Pechino, e dalla seconda made in Hong Kong, sono stati invece processati da tre giudici speciali scelti dal governo della città.
Gli imputati avrebbero anche dovuto avere accesso alla libertà su cauzione, ma la legge cinese ha imposto di fatto un regime di carcerazione preventiva fino alla condanna.
Con le condanne del processo farsa agli esponenti del movimento pandemocratico, si avvera quello da cui metteva in guardia una dei condannati, Claudia Mo, all’indomani dell’approvazione della legge sulla sicurezza nazionale: «È la fine di Hong Kong, sappiamo che amputeranno le nostre anime, ci porteranno via i valori che abbiamo sempre abbracciato: democrazia, diritti umani, stato di diritto»
«L’Ue faccia pressione sulla Cina»
La rapidità e la violenza con cui il regime ha messo a tacere il movimento democratico di Hong Kong ha lasciato sgomento tutto il mondo. Eppure, secondo il direttore europeo del Cfhk, c’è ancora speranza per la città: «Hong Kong vuole rimanere un centro finanziario globale, ma non può farlo se continua a reprimere le libertà della popolazione».
La comunità internazionale, aggiunge Sabah, deve sfruttare le ambizioni economiche della città e mettere pressione alle autorità locali: «Gli Stati Uniti vogliono sanzionare i giudici coinvolti nei principali casi di violazione della legge sulla sicurezza nazionale e alcuni dei principali funzionari del governo. Inoltre, vogliono chiudere le missioni commerciali di Hong Kong negli Stati Uniti (Hketo)».
Canada e Regno Unito si stanno muovendo allo stesso modo e anche l’Unione Europea potrebbe far valere il proprio peso economico con la Cina. «L’Ue non ha una grande influenza su Hong Kong, ma su Pechino sì. Speriamo che si spenda, oltre che a parole, anche nei fatti per assicurare che la situazione nell’isola migliori».
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