Non si salva il Monte dei Paschi di Siena facendo debito su debito. In una banca dovrebbero saperlo. Piuttosto, è meglio che intervenga direttamente lo Stato. Non lascia spazio ad equivoci il monito che ieri la Banca centrale europea ha indirizzato a Rocca Salimbeni in merito alla vicenda dei cosiddetti Monti bond. «L’emissione di altri titoli – spiega infatti l’Eurotower – potrebbe comportare ulteriori difficoltà per il risultato della banca nel breve periodo».
DUBBI SUI DEBITI. Con il secondo intervento pubblico dopo quello dei Tremonti bond, i Monti bond che lo Stato potrà sottoscrivere fino a 4,5 miliardi, interessi compresi, Banca Mps mira a posticipare al 2014 il pagamento degli interessi proprio sui Tremonti bond relativi al 2012, pari a 170 milioni di euro, insieme a quelli 2013 dei Monti bond, pari ad ulteriori 400 milioni circa. La Bce ha però fatto sapere che, dal suo punto di vista, come spiega il Sole 24 Ore, «l’opzione di pagare gli interessi su questi titoli obbligazionari ibridi “mediante nuove azioni di Banca Mps a favore del ministero dell’Economia andrebbe preferita rispetto a un’ulteriore emissione” di Monti bond». Un’eccessiva esposizione finanziaria del Monte è, infatti, quello che più di tutto preoccupa la Bce: «In un contesto operativo già difficile – puntualizza Francoforte – potrebbe comportare ulteriori difficoltà nel breve periodo e deteriorarne la capacità di rimborsare i bond in modo tempestivo».
CONFERMATI I TAGLI. Il Monte dei Paschi ha intanto confermato l’obiettivo di tagliare i costi in programma per il 2013 («determinanti per il rilancio della banca», hanno detto i vertici), oltre ad aver confermato anche l’esternalizzazione del back office: nella notte è stata, infatti, firmata un’intesa con i sindacati, Fisac Cgil esclusa, che prevede il passaggio di 1100 dipendenti in una nuova società di cui il Monte deterrà una quota. Altri 1000 dipendenti sono stati, invece, indirizzati a uscite volontarie incentivate. Non sembrano dunque essere stati lasciati alle spalle dalla presidenza Profumo i problemi originatisi per via della gestione troppo “politica” del Monte che ha caratterizzato le sue vicende negli ultimi anni, fino alla fallimentare operazione per l’acquisto di Antonveneta per 10 miliardi.