Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia al secondo mandato e ministro per gli Affari regionali e le autonomie locali del governo Letta, in una intervista concessa al direttore del settimanale Tempi Luigi Amicone (in edicola da giovedì 31 ottobre) parla, tra le altre cose, del “suo” candidato alla guida del Pd, Matteo Renzi, e del destino di questa strana intesa dei democratici con il partito del “nemico” di sempre, Silvio Berlusconi.
MATTEO E SILVIO COME MARADONA. Dopo la «performance alla Leopolda» – dice Delrio a Tempi – di Renzi è rimasta impressa «la capacità di relazione con i giovani». Il sindaco di Firenze secondo Delrio «è come Berlusconi, un talento politico fuori del comune». Spiega il ministro: «Oltre che il medico e il sindaco, nella mia vita ho fatto anche l’allenatore di una giovanile di calcio. Così quando devo spiegare Renzi a qualcuno dei miei in vena di animosità gli propongo la parabola dei talenti in formato calcistico. Hai un campione? Bè, non è che puoi dargli tante lezioni. Certo, lo devi abituare a giocare in squadra e a capire che non si vince da soli. Però, quando uno palleggia come Maradona, cosa gli vuoi dire? Renzi è così, un leader naturale. Così come lo è stato, piaccia o no, Berlusconi. Sono leader carismatici, entrano subito in sintonia col popolo. Cosa vuoi dire di un Berlusconi che è stato per vent’anni il leader incontrastato del centrodestra italiano? Cosa vuoi dire di un Renzi che, così come Blair ha sconfitto i sindacati e la sinistra storica in Inghilterra, lui è il leader che sta cambiando il linguaggio e l’approccio della sinistra in Italia?».
LA DURATA DEL GOVERNO. A proposito di affinità, Delrio registra «tante cose in comune» anche con i ministri Pdl nel governo delle larghe intese. In particolare con Maurizio Lupi, titolare delle Infrastrutture e cattolico come lui, il sindaco di Reggio Emilia spartisce «l’idea di sussidiarietà, una visione della società non nemica dello sviluppo, i valori della solidarietà», tuttavia, aggiunge, «è evidente che la storia politica sua di vicinanza a Berlusconi ci pone in una situazione di oggettiva lontananza». Ma quanto può durare l’intesa con un partito che – fatti salvi l’«ottimo gioco di squadra» e le «tante cose in comune» tra ministri Pdl e Pd – non intende rinunciare a difendere dall’assedio giudiziario un leader così indigesto per la sinistra italiana? «Questa – confessa Delrio a Tempi – è una domanda che bisognerebbe rivolgere alla Madonna durante le apparizioni di Medjugorje. E chi lo può sapere! Chiaro che le fibrillazioni continue e i continui chiarimenti interni al Pdl non fanno ben sperare. Pensavamo che dopo il 2 ottobre si fossero sistemate le cose e Berlusconi avesse abbandonato certe velleità. E invece pare che le cose stiano ben diversamente. Perciò, mi pare difficile fare previsioni».
BERLUSCONI E LA GIUSTIZIA. Sempre a proposito di giustizia e Berlusconi, poi, Delrio nel colloquio con Luigi Amicone dice la sua anche in merito al voto sulla decadenza del Cavaliere, previsto per metà novembre, voto che a quanto pare il Senato dovrà esprimere in modo palese per decisione della Giunta delle elezioni di Palazzo Madama, determinata anche dai membri Pd. «Personalmente – spiega – preferirei che non si cambiassero le regole. Però capisco le ragioni del mio partito e del segretario Epifani», che «sostengono il voto palese non per accanimento nei confronti di Berlusconi ma per evitare che un passaggio così importante per la storia della Repubblica venga inquinato». La vicenda di Berlusconi però, dice il ministro democrat, comunque la si veda (persecuzione giudiziaria o meno), non deve essere un ostacolo alla necessaria riforma della giustizia: «La “questione giustizia” esiste e non è giusto chiudere gli occhi perché c’è Berlusconi di mezzo. Non è giusto perché di mezzo ci sono gli italiani». È proprio per il bene degli italiani che occorre cambiare le regole, a cominciare «dalla revisione della custodia cautelare nel penale e dalla riduzione dei contenziosi nel civile». Tutto ciò,anche allo scopo di impedire l’uso politico dei processi: l’avviso di garanzia, concede il ministro, «dovrebbe essere, appunto, uno strumento di garanzia», e invece «è diventato un documento di condanna. Quanti amministratori pubblici ricevono avvisi per processi che durano anni? Francamente, non è più accettabile».