Ad Haiti non c’è pane, solo sangue sui muri, «i bambini scappano dai proiettili»

Di Caterina Giojelli
19 Ottobre 2021
«Da un mese siamo barricati nella missione. Fuori è un crescendo di rapimenti, esecuzioni. Ogni giorno prego che i nostri 88 bimbi tornino salvi da scuola». Il terribile racconto di suor Marcella Catozza dalla periferia di Port-au-Prince dilaniata dalle gang
Haiti è ostaggio di bande armate, rapimenti, sparatorie, estorsioni, vendette
Haiti è ostaggio di bande armate, rapimenti, sparatorie, estorsioni (foto Ansa)


«Siamo circondati da barricate di pneumatici infiammati, ovunque le strade di Haiti sono bloccate da camion e container messi di traverso. I bambini sono tornati correndo da scuola». Suor Marcella Catozza ha sprangato il portone appena l’ultimo degli 88 piccoli è riuscito a mettersi in salvo, chiudendo fuori dalla missione lingue di fuoco, fumo e boati nell’immensa baraccopoli di Waf Jeremie alla periferia di Port-au-Prince. Anche ieri è stata proclamata una giornata di sciopero nazionale per chiedere l’intervento del governo in seguito all’ennesimo rapimento “di peso” (17 missionari americani e canadesi che insieme alle loro famiglie, tra loro anche bambini, non hanno mai fatto ritorno da un orfanotrofio a 30 chilometri dalla capitale) ad opera dei criminali armati fino ai denti dei “400 Mawozo”, tra le gang più sanguinarie della zona.

Bimbi a scuola tra i gangster di Haiti

Ma sequestri e rapimenti sono da mesi all’ordine del giorno, delle ore: «Per la prima volta mi chiedo come finirà: è un mese che siamo barricati nella missione. Fuori è un “tutti contro tutti”, non ci sono più parole per definire il crescendo di rapimenti, sparatorie, estorsioni, vendette, violenze. Chiunque guidi una macchina può essere fermato e rapito, vengono chiesti riscatti da milioni di dollari per bianchi e religiosi, centinaia di dollari per i minori acciuffati per strada. Qui si sono licenziati anche gli autisti dei pulmini: ogni giorno i nostri bimbi della casa d’accoglienza devono camminare per un’ora per raggiungere la scuola, un’ora per tornare a casa sotto il sole dei Caraibi. E ogni giorno prego e ringrazio la Madonna quando li vedo tornare tutti e 88. Sudati, stremati ma salvi e tutti insieme».

Quando la chiamiamo per sincerarci in particolare delle condizioni dei 145 bambini della casa di accoglienza Kay Pe’ Giuss, 88 dei quali escono ogni mattina dalla missione e si avventurano sulla strada verso la scuola, Marcella ci descrive una situazione «terrificante». I bimbi sono abituati alle catastrofi, ai terremoti, agli uragani, anche alle irruzioni dei banditi nei dormitori, ai saccheggi, alle richieste di pizzo e alle minacce di gangster brutali e capaci di ogni efferatezza, atti di cannibalismo compresi. Tempi vi ha raccontato più volte le folli richieste per “lasciare in pace” la missione (l’ultima: 25 mila dollari al mese), i drammatici racconti degli educatori a cui i banditi hanno portato via i figli maschi nella notte, le madri che si prostrano a terra implorando i capi banda di risparmiare i propri bambini.

Esecuzioni e bimbe col pancione

«Ma oggi la situazione è più pericolosa che mai: sono appena uscita dalla cappella, proprio in questo momento i piccoli stanno scappando dall’area dove sono soliti fare i compiti. Il muro della missione confina con la base di questo fantomatico fronte di liberazione, stanno sparando, ci sono i proiettili che fischiano tra le lamiere dei tetti. Ieri notte davanti a questo muro c’è stata un’esecuzione: hanno sparato a un gruppo di persone rapite per cui non era stato versato il riscatto. È terribile, non c’è pane, non c’è acqua, non c’è carburante, benzina, diesel, solo sangue sui muri».

I banditi, spiega suor Marcella, hanno intensificato in particolare anche i sequestri di bambine di 13, 14 anni, le strappano alle famiglie, le riportano incinte, le sostituiscono con altre ragazzine. «La mamma di una bambina accolta da noi 16 anni fa è venuta a trovarmi l’altra notte spiegandomi che uno dei capi banda ha messo gli occhi addosso a sua figlia e chiedendomi di aiutarle a scappare. Lo abbiamo fatto, cerchiamo di trovare piccole sistemazioni in zone di Haiti più sicure di questa per le famiglie più vulnerabili e spaventate. Ma spostarsi è diventato pericoloso».

Senza pane e luce, tra spettri e ostie

Ci sono circa 185 mila haitiani che stanno cercando di abbandonare il paese, 80 mila bloccati a Panama, 30 mila al confine col Messico, 30 mila al confine con la Colombia, «e quanto vengono rispediti qui non trovano più nulla, spesso hanno venduto la baracca e tutto quello che avevano per tentare il viaggio. E quello che trovano è solo più disperazione e paura». Haiti è popolata da spettri, lo spettro di tutto ciò che manca e che si uccide per avere. I rifornimenti di carburanti sequestrati dalle bande non vengono rivenduti neanche al mercato nero: per una settimana nella missione di suor Marcella il generatore è stato fermo, «siamo rimasti senza corrente, internet, senza caricare i cellulari per dare notizie di noi, il frigo spento. Abbiamo perso tutta la carne che eravamo riusciti a procurare per i bambini perché non si nutrissero solo di riso».

Ogni mattina Marcella affida questi piccoli e attende di rivederli alle due, appena finita la scuola, c’è chi percorre tutta la strada senza una gamba, chi lo fa senza un piedino, ma tutti lo fanno con la pazienza e tenacia, certi di fare ritorno in una missione che non è solo un luogo di sicurezza ma di bellezza, di senso, di vita. Certi di quel bene che Marcella ripete «c’è, è misterioso ma è preparato per noi». Anche nell’inferno di Haiti, dove una suora non può uscire per partecipare alla messa in presenza ma conserva il santissimo nella cappellina. A volte qualcuno dei suoi ragazzi, in sella a una motoretta e per vie secondarie, riesce a raggiungere la nunziatura dove preparano una pisside di ostie da portare nella missione, «il posto di Gesù presente». Che custodisce i bambini e il loro bene misterioso tra le lingue di fuoco e le urla di Haiti.

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