Greta va in pensione e la Cop27 indossa l’impermeabile giallo
Sarà che a 19 anni treccine, smorfie e onomatopee non si portano come a 15, sarà che la cosmogonia dei buoni contro cattivi potrebbe fare il suo tempo come un impermeabilino giallo ormai fuori misura, fatto sta che Greta Thunberg va in pensione. Quattro anni dopo aver lanciato il suo “Sciopero scolastico per il clima”, l’attivista svedese si è infatti detta pronta a passare il testimone, o meglio, «consegnare il megafono alle persone più colpite dalla crisi climatica».
Quando ha annunciato che avrebbe bigiato la Cop27 definendo la conferenza «truffa greenwashing» (upgrade del più virale «blablabla») in molti hanno lodato la sua maturità, chi magnificandone lo spirito di rinuncia («l’intera generazione dei Fridays, ha una personalità profondamente anti-narcisista, per nulla autocentrata», scrive ilfattoquotidiano.it, «solo chi si pone in una prospettiva non antropocentrica, umile, di reale osservazione di ciò che accade senza che la realtà venga offuscata dai fantasmi del sé, può capire realmente la crisi climatica»), chi alludendo a sopraggiunti limiti di età: Greta è diventata grande, ha da finire l’ultimo anno di liceo a Stoccolma e dopo il diploma chissà, «vorrei continuare i miei studi. Preferibilmente qualcosa che ha a che fare con problemi sociali», di certo non si darà alla politica, promette, «troppo tossica».
Greta «salverà il mondo» un’altra volta
Insomma, a pochi anni dallo scatenarsi della «reazione irreversibile che porterà probabilmente alla fine della nostra civiltà» (per non dimenticare: è il 2030, la dead line fissata da Greta nel 2019. Questa parentesi è altresì l’occasione per ricordare anche e del tutto gratuitamente che nel 1989 Repubblica titolava “Dieci anni per salvare la Terra”, nel 2007 “Due anni per salvare il mondo”) il nostro oracolo Greta che «salverà il mondo» torna a scuola. La bambina invitata a intervenire alla conferenza delle Nazioni Uniti e a Katowice e al World Economic Forum di Davos, annoverata dal Time tra le 100 persone più influenti del mondo e perennemente in lizza per il Nobel della pace, come Walesa e Madre Teresa di Calcutta, mutuando Mandela, «Sembra impossibile finché qualcuno lo fa», si ritira.
A vita privata? Macché. Greta ci lascia con il suo secondo libro, The Climate Book «strumento essenziale per chiunque voglia contribuire a salvare il mondo» (copy Mondadori che lo ha editato) e un sacco di nozioni climatiche e scientifiche entrate nella storia. Tipo: «Non voglio che siate pieni di speranza. Voglio farvi prendere dal panico. Voglio che sentiate la paura che provo ogni giorno» (disse ai miliardari di Davos) «Ma come osate! Voi avete rubato i miei sogni e la mia infanzia con le vostre vuote parole» (all’Onu), «Rilassati Donald, rilassati!» (a Trump), «Ricostruire meglio: bla, bla, bla. Green economy: bla, bla, bla. Emissioni zero entro il 2050: bla, bla, bla» (Youth4Climate), «i nostri leader hanno incasinato la generazione sbagliata» (South Banck Center di Londra).
È sempre estinzione di massa, codice rosso, fine del mondo
E ancora: «Siamo all’inizio di un’estinzione di massa», «la nostra casa è in fiamme», «la nostra casa sta crollando e il tempo stringe», «se sceglierete di fallire non vi perdoneremo mai». E ancora: «Questa non è un’esercitazione. È codice rosso per la Terra. Milioni di persone soffriranno per la devastazione del nostro Pianeta», «Le vostre decisioni causeranno o eviteranno questo scenario terrificante», «La Terra ha una scadenza e per ricordarcelo a New York è stato installato un enorme orologio digitale che conta ore, minuti e secondi che restano prima che arrivi la fine del mondo. Sette anni, 102 giorni e 12 ore» (era il 2020).
Insomma Greta ci lascia con la summa teologica della semplificazione scientifica, della riduzione della complessità a slogan, del pensiero critico a pensierino catastrofista, del messaggio politico a moralismo, dell’impegno ambientale a bigiata mondiale, e la certezza che moriremo tutti, molto presto (anche se i climate clock vengono aggiustati ogni anno in base alle emissioni e grazieaddio da due anni ne mancano sempre sei e qualcosa alla fine del mondo, ma tant’è).
Greta si ritira e la Cop27 le ruba l’impermeabile
Nel frattempo Greta ha aggiornato i suoi obiettivi: dal suo buen ritiro di Stoccolma oggi punta a rovesciare “l’intero sistema capitalista”, responsabile di «colonialismo, imperialismo, oppressione e genocidio da parte del cosiddetto Nord globalizzato» e ha ben chiaro l’identikit dei suoi nemici e detrattori rivelato al The Russell Howard Hour: «eterosessuali, bianchi, privilegiati, uomini di mezza età» (cioè come Russel Howard e la maggioranza dei seguaci di Greta). Perché anche la pensione si nutre di nemici. Ma soprattutto di epigoni.
Greta se ne è andata ma i leader della Cop27 fanno a gara per infilarsi impermeabilino e treccioline. Vi ricordate il protagonista del filmato realizzato dall’Onu in occasione della Cop26? Massì, Frankie il dinosauro, il velociraptor che facendo irruzione tra i delegati delle Nazioni Unite ammoniva: «Noi ci siamo estinti a causa di un asteroide. Qual è la vostra scusa? Ogni anno i governi spendono centinaia di miliardi di fondi pubblici per finanziare sussidi ai combustibili fossili. È come se noi li avessimo spesi per finanziare meteoriti giganti!».
Da Frankie il dinosauro al segretario Guterres è un attimo
Dal capopolo Frankie che «so una o due cosette sull’estinzione. E lasciatemelo dire: l’estinzione è una brutta cosa, ma causare da sé l’estinzione della propria specie è la cosa più ridicola che abbia mai sentito in 70 milioni di anni», al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres è un attimo: gli incendi e le ondate di calore di luglio non potevano che dimostrare che l’umanità si trovava di fronte a un «suicidio collettivo».
Così i ministri di 40 nazioni riuniti a Berlino per l’eterna “ultima occasione” di cambiare il corso della storia ascoltavano il segretario mentre gli esperti francesi gridavano all «apocalisse di caldo», e Apocalisse 4800 era il nome dato dai media all’anticiclone africano che si apprestava in Italia. L’Europa quest’estate era «un continente in fiamme», i cambiamenti climatici stanno portando «devastazione» e le ondate di caldo sono ormai un «inferno», era tutto uno scrivere sui giornali.
Apocalisse, inferno, paradiso. Prossima Cop sull’invasione degli ultracorpi?
Estinzione, suicidio, devastazione, apocalisse, inferno. Mica per nulla “inferno” è rimasta la parola chiave anche della Cop27, collezione autunno-inverno: «Siamo su un’autostrada verso l’inferno climatico con il piede sull’acceleratore», è ancora il segretario Guterres nel suo discorso di avvio della conferenza delle Nazioni Unite sulla lotta alla crisi climatica, «O cooperare sul clima o morire», «il mondo rischia un suicidio collettivo» (ancora!), «dobbiamo evitare di condurre il nostro pianeta oltre il precipizio climatico». Un girone in cui infine apparve lei, «Non prendiamo l’autostrada per l’inferno, ma guadagniamoci un biglietto pulito per il paradiso». Parola della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
Greta Thunberg va in pensione ma il suo verbo s’è fatto carne, trecciolina e impermeabilino giallo tra i blablablatori più potenti della Terra. Di cosa parleranno alla Cop28, nella fresca cornice di Expo City Dubai? Dell’incontrovertibile, certa, prossima e inevitabile invasione degli ultracorpi?
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