Giustizia allo sfascio. Il Parlamento non ha idee, a parte la fuffa del Csm “a sorte”?

Di Alfredo Mantovano
14 Maggio 2021
E una commissione d’inchiesta per fare cosa? Rinfocolare e rendere cronico il conflitto fra giurisdizione e politica? Non servono vendette, ma rettificare ciò che non va
La dea giustizia in un affresco sulla parete di un tribunale

Una delle domande sollecitate dall’ultima puntata di furibondi contrasti, preoccupanti anomalie e pesanti irregolarità che interessano la magistratura italiana, ahimè priva di risposta come le altre, è perché siano mancate reazioni dal mondo politico nel suo insieme, dalle singole forze politiche, dal Parlamento e dal governo. Ci si chiede che cosa deve accadere di più, dopo l’emersione nel dettaglio del funzionamento del “Sistema” correntizio grazie al “pentimento” di un ex presidente dell’Anm (utile ai non addetti ai lavori, per giudici e avvocati non è stata una novità), dopo la continua sostituzione di organi giurisdizionali alla Camera e al Senato nella creazione per via giurisprudenziale di nuove norme, dopo l’aggrovigliata e sconcertante vicenda della presunta “loggia Ungheria”: che cosa deve aggiungersi perché il Parlamento intanto mostri di considerare la gravità della condizione nella quale versano i magistrati – un dibattito in Aula sarebbe il minimo sindacale – e poi affronti il problema del “che fare”?

Impicciarsi è un dovere

Il Parlamento ritiene di non avere competenza a intervenire sulla questione? Che si tratti di beghe che i togati devono dirimere da sé? Che occuparsene costituisca una intromissione? Che rispettare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura debba tradursi nell’ignorare lo scempio in corso? Speriamo che non sia così: speriamo cioè che non si radichi la convinzione che il corretto funzionamento di un organo di rilievo costituzionale come il Csm, e quindi l’attribuzione dei ruoli di dirigenza degli uffici giudiziari o l’esercizio della giurisdizione disciplinare, costituiscano qualcosa di intercluso agli estranei, privo di incidenza nella vita quotidiana di decine di milioni di persone. Non è ledere gli interna corporis di inquirenti e giudicanti attivarsi per far cessare i conflitti negli e tra gli uffici giudiziari interni, per superare la spartizione correntizia, per rendere la giustizia più equa e funzionale.

Quei pochi che sulla scena politica paiono interessati al tema mostrano affezione a due proposte: il sorteggio quale criterio di elezione dei componenti togati del Csm e l’istituzione di una commissione di inchiesta sulla magistratura. Se pensano davvero di risolvere tutto così, conviene che accrescano la già consistente schiera dei non interessati. Le voci da trattare, come più volte si è provato a ricordare su queste colonne, riguardano la collocazione del giudizio  disciplinare fuori dal Csm, da affidare a una Corte di giustizia non elettiva e da sottrarre al mercanteggiamento per appartenenze, la effettiva e formale separazione delle carriere fra i pm e i giudicanti, le modalità di accesso alla funzione di magistrato, i criteri per acquisire posti direttivi, una minore precarietà per la magistratura onoraria, sensibili rettifiche ai riti civile, penale e tributario.

Prospettive distorte

Il resto è veramente fuffa. Il sorteggio per far parte del Csm, oltre a esigere una modifica della Costituzione (che parla di «eletti», non di «estratti a sorte»), e oltre a conferire a tutti i magistrati una patente di inaffidabilità, tale da togliere perfino la possibilità di votare il proprio organo di autogoverno, non scongiurerebbe che i togati favoriti dalla Fortuna si aggreghino sulla base delle affinità, anche politiche, e dei condizionamenti ideologici di ciascuno. Come accade da decenni, i raggruppamenti più forti si imporrebbero le loro scelte a quelli minoritari, a prescindere da criteri di merito, oppure governerebbero tutti insieme, riproducendo le attuali ripartizioni. 

Quanto alla commissione d’inchiesta, le domande non sono tanto di che cosa si dovrebbe occupare, quale sarebbe l’area di intervento, e di quali poteri disporrebbe – quesiti che pure meritano risposta –, ma qualcosa di preliminare: a che serve? A rinfocolare il conflitto fra la giurisdizione e la politica e a renderlo cronico? È la prospettiva che è distorta: quello di cui oggi ha necessità la giustizia italiana non è attivare vendette, né avere lo sguardo rivolto al passato in chiave di rivendicazioni; è piuttosto rettificare quel che va così male. È costruire un futuro più decoroso nelle aule giudiziarie piuttosto che rinvangare un passato oscuro. È chiedere molto sollecitare a guardare avanti?

Foto Ansa

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