Il graduale disimpegno degli Stati Uniti dal Menasa – la grande regione che unisce Medio Oriente, Nord Africa e Asia del Sud – ha lasciato un vuoto che per gran parte degli analisti sarà colmato da Cina e Russia, decretando, forse in modo anticipato, la fine di qualsiasi strategia Usa e di altri partner strategici. Nel dibattito in corso un attore silente e prezioso è quasi sempre omesso o relegato all’area del Pacifico: il Giappone. Come dimostrato dalla crisi afghana, Pechino ha ormai mutato atteggiamento e sta cercando di capitalizzare in termini politici quanto seminato negli ultimi dieci anni tramite la propria leva economica e la Belt and Road Initiative.
La tesi del “vuoto”
Mosca è ormai un attore di primo piano e ha allargato i suoi interessi anche al Nord Africa, tramite i suoi proxy e compagnie di mercenari come la Wagner. La tesi del “vuoto” che sta ampiamente guadagnando popolarità e che vede una Russia e una Cina di fatto vittoriosi, non tiene conto da un lato dei limiti delle due potenze e dall’altro di come l’espandersi dell’influenza cinese nell’area spinga Giappone e India a compiere passi oltre la loro tradizionale sfera di influenza. Come sottolineato da diversi analisti, Cina e Russia hanno basato le loro mosse nella complessa regione Menasa compartimentando le loro politiche e sfruttando l’ombrello difensivo garantito dagli Stati Uniti, mostrando di non essere in grado di sostenere un nuovo ordine politico nella regione.
Nel rimescolamento generale delle carte in corso non solo in Medio Oriente, ma in generale in tutta l’Asia, il Giappone potrebbe realmente giocare un ruolo strategico e agire come una sorta di alfiere per gli interessi di Washington e dei paesi occidentali. Al pari degli Usa la sempre menzionata Europa vede gran parte dei suoi membri compromessi, schierati oppure con azioni che già in passato hanno mostrato tutti i loro limiti. Un esempio sono Francia, Germania e Regno Unito che, nonostante gli slogan, hanno di fatto fallito nel mantenere vivo l’accordo sul nucleare iraniano con il praticamente mai attuato meccanismo Instex.
Il Giappone si allarga in Medio Oriente
A differenza dei paesi Nato, in questi anni Tokyo ha agito soprattutto dietro le quinte nelle avventure condotte dagli Stati Uniti nella regione. Adottando un approccio basato sulla cooperazione internazionale il paese del Sol Levante ha sostenuto il governo dell’Iraq nella ricostruzione del vitale settore energetico, ha avviato una complessa mediazione tra Iran e Stati Uniti dopo l’assassinio a Baghdad del generale dei pasdaran Qassem Soleimani nel gennaio 2020 e mantenuto rapporti commerciali strategici con Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait e il Qatar, che sono i suoi principali fornitori di petrolio.
Il ruolo di Tokyo è nuovamente emerso con forza nel pieno della crisi in Afghanistan, con il ministro degli Esteri giapponese Toshimitsu Motegi che ha visitato Egitto, Palestina, Israele, Giordania, Turchia, Iraq, Iran e Qatar in un tour mirato a rilanciare ed elevare i rapporti con i paesi regionali nel pieno del disimpegno Usa. Con queste premesse Tokyo potrebbe avere l’opportunità di aprire un dialogo strategico multilaterale con la regione che si concentra sulle questioni critiche dei prossimi decenni, non solo in termini economici, ma anche geopolitici, accompagnando i paesi dell’area nel complesso riallineamento post-Afghanistan di Washington e bilanciando gli interessi della Cina.
La partnership con gli Stati Uniti
Il ruolo sempre più aggressivo di Pechino nella regione Indo-Pacifico e ora anche in Afghanistan sarà ovviamente al centro del summit del Quadrilateral Security Dialogue (Quad) – il dialogo strategico tra Stati Uniti, Giappone, Australia e India – che si terrà a Washington dal 23 al 25 settembre e che riunirà per la prima volta in persona dell’inizio della pandemia i leader dei quattro paesi: il presidente Usa Joe Biden, il premier indiano Narendra Modi, il primo ministro giapponese Yoshihide Suga e il capo del governo australiano Scott Morrison. La riunione, che si tiene in concomitanza con l’assemblea generale delle Nazioni Unite, è stata preceduta da uno sviluppo di particolare interesse che potrebbe avere importanti risvolti su molteplici fronti: la partnership militare denominata Aukus annunciata il 16 settembre da Stati Uniti, Regno Unito e Australia.
Come affermato dal premier australiano Morrison, i tre paesi elaboreranno un piano congiunto nei prossimi 18 mesi per l’assemblaggio della nuova flotta di sottomarini a propulsione nucleare australiana, che sarà costruita ad Adelaide. Secondo alcune indiscrezioni della stampa britannica, anche il Giappone potrebbe entrare all’interno dell’Aukus, che si confermerebbe come una vera e propria alleanza per stringere d’assedio Pechino. Del resto, la pressione esercitata dalla Cina nel Mare del Giappone e nel Mar cinese orientale ha spinto in questi anni Tokyo a mutare la sua politica di difesa.
Le spese e le capacità militari del Giappone sono cresciute continuamente da quando l’ex primo ministro Shinzo Abe è entrato in carica nel dicembre 2012, aumentando del 17 per cento negli ultimi nove anni. Il governo di Abe ha permesso alla forza di autodifesa giapponese di svolgere un ruolo internazionale maggiore adottando una nuova interpretazione nel 2015 dell’articolo 9 della Costituzione di rinuncia alla guerra. Il Giappone ha inserito tra i ranghi delle sue forze di autodifesa i caccia di quinta generazione F-35, acquistando dagli Stati Uniti la versione B con decollo verticale, convertendo alcune delle sue navi da guerra in portaerei. Il Giappone sta anche costruendo nuovi cacciatorpediniere, sottomarini e missili.
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