La guerra del gas e la religione delle rinnovabili

Di Gianluca Salmaso
06 Gennaio 2022
Il caso delle proteste in Kazakistan dimostra che le scelte in campo energetico hanno conseguenze politiche. Bene il pragmatismo europeo su gas e nucleare, dice Torlizzi
Proteste violente in Kazakistan (foto Ansa)

C’è chi l’ha già ribattezzata la “legge truffa europea”: l’iniziativa dell’Unione di includere gas e nucleare nella cosiddetta tassonomia verde non sembra essere piaciuta a molti.

Il pragmatico asse Francia-Italia

Una scelta dietro cui, secondo una parte del mondo ambientalista, sembra esserci lo zampino dell’Italia. «L’asse suggellato con il Patto del Quirinale fra Italia e Francia ha favorito lo spostamento dell’equilibrio sulla politica energetica su posizioni di maggiore pragmatismo – spiega a Tempi Gianclaudio Torlizzi, esperto di commodity e energia – c’è da dire poi che la posizione di contrarietà al nucleare espressa dalla Germania, dopo la fiammata della crisi degli ultimi mesi, è diventata insostenibile».

La Germania ha in programma lo spegnimento delle sue centrali nucleari nei prossimi mesi ma per farlo dovrà affidarsi al gas russo e il metano, per quanto fra i combustibili fossili sia il meno inquinante, non è comunque privo di emissioni. «La Commissione si è resa conto dell’insostenibilità di basare una politica energetica solo sulle rinnovabili – continua Torlizzi – l’Italia ha fatto grande pressione ma è stata sicuramente favorita dalla Francia che ha in programma la costruzione di nuovi reattori».

Le fonti rinnovabili non bastano

Una posizione, quella espressa dalla Commissione, che però ha scontentato l’ala più oltranzista del mondo ambientalista che ha già minacciato ricorsi in sede legale, denunciando il tradimento degli accordi di Parigi sul clima. «Le fonti rinnovabili devono essere parte di un mix energetico – ribadisce l’esperto – affidarci completamente a esse ci espone a degli enormi rischi: lo abbiamo visto negli ultimi tre mesi con il gas, lo vedremo nei prossimi tempi con i beni agricoli. Coloro che sono contrari al gas e al nucleare non hanno un’alternativa valida se non una fede che rasenta il religioso sulle capacità dell’energia rinnovabile».

La crisi del gas in Kazakistan

Le scelte in campo energetico non sono prive di conseguenze pratiche o politiche: il ricorso alle biomasse rischia, ad esempio, di sottrarre terreno fertile alle colture alimentari così come l’aumento indiscriminato del prezzo dell’energia rischia di indebolire già fragili equilibri, come sta succedendo in Kazakistan. «È scoppiata un’autentica crisi di governo proprio per le politiche climatiche che hanno visto aumentare significativamente il prezzo del gas. Se da noi provoca malcontento, nei paesi emergenti diventa violenta perché impatta fortemente sulla vita delle persone – riflette l’esperto – il Kazakistan estrae gas, lo produce, ma in un contesto di iniqua redistribuzione della ricchezza, un minimo aumento del prezzo crea danni notevoli. E pensiamo a cosa potrebbe succedere in Africa, dove la siccità ha già colpito pesantemente».

Il rischio, insomma, è che a pagare il conto della crisi energetica siano in proporzione anche le economie meno avanzate che vedranno le loro possibilità di sviluppo ulteriormente compresse. E quando alle persone si sottrae la possibilità crescere, migliorare la propria condizione, non si lascia loro che un’alternativa: l’emigrazione.

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.