La fuga dei prof. conservatori dalle università americane

Di Piero Vietti
13 Ottobre 2023
Denunciati dai colleghi, contestati dagli studenti, "processati" dai loro stessi atenei, sempre più professori non progressisti lasciano o cambiano. E il numero di docenti di sinistra aumenta, dice una ricerca
Università Usa proteste conservatori woke

Università Usa proteste conservatori woke

Dopo avere scritto sul suo blog personale che chi crede che il coronavirus non sia uscito da un laboratorio di Wuhan è un idiota che si beve la propaganda cinese (detto con una perifrasi decisamente più volgare), Thomas Smith, professore di Diritto presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di San Diego, ha seriamente rischiato di vedere finita la sua carriera. Quel post è diventato subito virale, e sessanta studenti hanno presentato una denuncia all’amministrazione dell’Ateneo per razzismo, uso di linguaggio denigratorio e promozione di teorie del complotto. Dopo alcuni mesi di indagini interne, l’Università ha ammesso che quel post era protetto dalle politiche di libertà accademica della scuola.

Per i prof. conservatori non è facile insegnare

L’episodio ha però segnato Smith, racconta Francesca Block su The Free Press, tanto che un anno dopo quel tentativo di “cancellazione” subìto, nel 2022, Smith ha chiesto di andare in pensione a “soli” 65 anni, un’età che il mondo accademico americano non considera affatto avanzata, anzi. Smith non è il solo, scrive la giornalista della testata online diretta da Bari Weiss, ma «uno dei cinque professori di destra, su 40 docenti della School of Law dell’Università di San Diego, che andranno in pensione dopo la primavera del 2025».

Il fatto è che essere conservatore è sempre più complicato in certe università americane: lo stesso Smit racconta che «ultimamente aveva avuto difficoltà a farsi pubblicare su importanti riviste giuridiche a causa delle sue idee tradizionalmente conservatrici che si opponevano alle politiche DEI ed ESG nelle multinazionali americane», e che durante le sue lezioni si autocensurava sempre di più per non offendere inavvertitamente i suoi studenti o i colleghi.

Ciò che emerge dai racconti dei professori sentiti da Block, è «un’atmosfera generale» che in modo sempre più esplicito mette pressione a chi non abbraccia certe idee estreme del progressismo e a disagio chi ha idee conservatrici. Eugene Volokh, 56 anni, lascerà il suo posto di insegnante di diritto del Primo Emendamento alla UCLA per un nuovo ruolo come Senior Fellow presso l’Hoover Institute, un think tank di destra con sede a Stanford. Eric Kaufmann ha lasciato il suo incarico di ruolo alla Birkbeck, Università di Londra, a luglio, dopo 20 anni, per tenere un corso all’Università di Buckingham aperto al pubblico e intitolato “Woke: origini, dinamiche e implicazioni di un’ideologia d’élite”.

I docenti di sinistra sono sempre di più

Kaufmann ha un’età in cui può permettersi di smettere di autocensurarsi e dire pubblicamente quello che pensa, però. Non è così per tutti i docenti universitari americani, che secondo una ricerca della Foundation for Individual Rights and Expression (Fire) stanno diventando sempre più di sinistra. Un sondaggio nel 2022 su quasi 1.500 membri del corpo docente e ha rivelato che il 50 per cento di loro si identifica come liberal, il 17 come moderato e il 26 per cento come conservatore. Ci sono ancora meno professori conservatori nelle facoltà di Giurisprudenza: uno studio del 2018 pubblicato su The Journal of Legal Studies ha rilevato che solo il 15 per cento dei professori di diritto si definisce tale. E sono passati già cinque anni…

«In alcune delle università più prestigiose della nazione», scrive Block, «la disparità è ancora più drammatica. Un sondaggio del luglio 2022 sui docenti di Harvard condotto da The Harvard Crimson ha rilevato che oltre l’80 per cento dei docenti si è identificato come liberal o molto liberal, mentre solo l’1 per cento si è identificato come conservatore (nessun intervistato ha affermato di essere molto conservatore)». Non che questa tendenza sia recente, in realtà: Robert George, professore a Princeton, racconta di come al suo arrivo in Università nel 1985 gli fu detto che sarebbe stato l’unico conservatore dichiarato della facoltà. In quarant’anni George ha fatto carriera, instaurato amicizie con molti colleghi di sinistra, e goduto con loro di discussioni approfondite e libere. Insomma, «l’opposto di una vittima».

Essere conservatori in università è sempre più difficile

Oggi però George nota una tendenza preoccupante tra docenti e studenti. Solo qualche settimana fa gli è stato impedito di parlare di libertà di parola al Washington College in Maryland: un gruppo di manifestanti lo ha interrotto e contestato per via delle sue critiche ai matrimoni gay, e l’Università ha annullato l’evento quando era già in corso. Non è il primo caso di intolleranza nei confronti di chi non ripete il verbo woke, e accade in un contesto in cui presto, paradossalmente, non ci sarà quasi più nessuno da contestare: secondo il sondaggio della Fire «la percentuale di docenti che si identificano come “di estrema sinistra” è raddoppiata dal 6 per cento del 1990 al 12 del 2020, mentre la percentuale di coloro che si identificano come conservatori è scesa dal 16 al 10 per cento».

Si sta creando attorno agli studenti una sorta di safe space progressista per tenerli il più lontano possibile da idee che potrebbero urtarli. Nel 2000, in tutti gli Stati Uniti, fuorono quattro i professori che le università cercarono di sanzionare per discorsi ritenuti offensivi o inappropriati. Nel 2021 sono stati 213. Un altro rapporto della Fire rivela che «più della metà dei docenti è preoccupata di perdere il lavoro o la reputazione a causa di qualcosa che avrebbero potuto dire. Questa percentuale sale al 72 per cento per i docenti che si identificano come conservatori, rispetto al solo 40 di coloro che si dichiarano liberal». Mentre molti professori conservatori tengono a freno la lingua e vanno tranquillamente in pensione, altri si sono giocati la carriera per aver espresso la propria opinione. Sono ad esempio i casi (raccontati anche da Tempi) di Joshua Katz e Ilya Shapiro.

Parlare e rischiare o censurarsi e vendere l’anima?

Conclude Francesca Block: «Joshua Kleinfeld è un promettente studioso di diritto conservatore e filosofo della Northwestern University. Il quarantacinquenne professore mi ha detto che orientarsi nella società accademica di oggi è come evitare attentamente una bomba sul campo di battaglia. Per sopravvivere, dice, gli studiosi come lui devono sviluppare competenze che vanno oltre la ricerca, la scrittura e l’insegnamento. Devono sviluppare un tipo speciale di giudizio: sapere quando scegliere le loro battaglie, quando autocensurarsi e quando evitare un fattore scatenante che potrebbe potenzialmente far esplodere la loro intera carriera. “Le persone che non sono d’accordo con l’ortodossia prevalente devono fare una scelta molto dolorosa”, ha detto. “Possono esprimere la propria opinione e accettare il fatto che la loro vita professionale sarà una zona di guerra. Oppure possono tenere a freno la lingua ed evitare quella controversia, accusa e battaglia, ma a costo di una parte della loro anima”».

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