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Eutanasia. Dal Belgio al Canada la sostanza non cambia: la legge è un pretesto

Dicono che non bisogna credere alla balla del piano inclinato, ma in Belgio hanno violato per la prima volta il diritto all'obiezione di coscienza e in Canada il Parlamento è stato umiliato

Leone Grotti
03/07/2016 - 2:00
Esteri
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suicidio-assistito-eutanasia-shutterstock

Dicono che non bisogna farsi fuorviare dai sostenitori del piano inclinato, quando si parla di eutanasia; dicono che le leggi depenalizzano il reato di omicidio in certi casi disperati, più che introdurre un inedito diritto di morire; dicono anche che tutto ruota intorno all’autodeterminazione, alla dignità e alla compassione che si deve a persone che soffrono negli ultimi momenti della loro esistenza; dicono infine che ognuno deve poter porre fine alla propria vita come e quando vuole e che le scelte personali non influenzano in alcun modo quelle di chi non è d’accordo. La legge servirebbe a proteggere e normare tutto questo. Il castello è intellettualmente affascinante e sentimentalmente convincente, ma a volte crolla in un batter d’occhio, come se fosse costruito con carte da briscola.

CONDANNA IN BELGIO. Prendiamo il Belgio, che si è dotato di una delle leggi più liberali al mondo, alla quale si sono aggrappate almeno 2.021 persone solo nel 2015, dove il diritto di morire formalmente non esiste e l’obiezione di coscienza è riconosciuta. Il 29 giugno, per la prima volta, una casa di riposo di Diest è stata condannata a pagare 6.000 euro di danni alla famiglia di un’anziana signora per essersi rifiutata di autorizzare l’eutanasia tra le mura dell’istituto. Che, detto per inciso, è cattolico e porta il nome di un grande santo, Sant’Agostino. Ma non è questo il punto.

LEGGE IGNORATA. Mariette Buntjens, ricoverata alla Sant’Agostino, ha dovuto ricevere l’iniezione letale a 74 anni nel 2011 in un altro istituto e la figlia, Nadine Engelen, ha fatto causa alla casa di riposo per aver causato alla madre «sofferenze mentali e fisiche non necessarie». La Sant’Agostino, che è contraria alla buona morte per motivi religiosi e di coscienza, non si è difesa puntando su questi. Ma ricordando al giudice che nel caso della donna la legge non era stata rispettata: è un dottore esterno all’istituto, infatti, che ha certificato la richiesta dell’eutanasia mettendo poi i medici di fiducia di Mariette davanti alla decisione presa.
E non solo la donna non ha confermato la sua volontà davanti a loro, ma contrariamente a quanto afferma l’articolo 3 della legge che depenalizza l’eutanasia, non ha parlato con l’equipe medica che la segue usualmente. Il tribunale di Lovanio ha però ignorato la legge, bocciato le argomentazioni laicissime della casa di riposo cattolica e violando anche il diritto all’obiezione di coscienza l’ha condannata ugualmente.

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CAUSA IN CANADA. Il secondo caso che fa sciogliere come neve al sole l’impianto propagandistico del diritto alla buona morte è appena avvenuto in Canada. A soli dieci giorni (10!) dall’approvazione della legge peggiore del mondo sul fine vita, una delle tante lobby progressiste, in questo caso la British Columbia Civil Liberties Association, ha portato in tribunale la norma sfruttando il caso di una donna affetta da atrofia muscolare spinale (Sma), terribile malattia neurodegenerativa. La causa ha come obiettivo di stralciare l’unico comma che i difensori del diritto di vivere, e non di morire, hanno difeso in Parlamento con le unghie e con i denti.

MESI DI DISCUSSIONE. Stiamo parlando della frasetta che autorizza qualunque persona maggiorenne a chiedere l’eutanasia solo se, a fronte di una malattia, «la sua morte naturale è ragionevolmente prevedibile». È una piccola clausola per salvaguardare la vita dei più fragili, tra l’altro di incredibile debolezza e facilmente aggirabile. Ma è qualcosa. Il Parlamento si è scannato per mesi su questo punto e alla fine ha deciso di approvarlo. Ma dopo dieci giorni è già stata presentata istanza per abbatterlo, umiliando così platealmente il lavoro dei politici. E sappiamo tutti come andrà a finire.

LA LEGGE È UN PRETESTO. Il denominatore che accomuna questi casi diversi, avvenuti in paesi diversi e in parti del mondo distantissime tra loro, è uno: la legge è solo un pretesto. Possono volerci 15 anni o 10 giorni per stravolgerla e piegarla alle ragioni sentimentali che portano al mostruoso controsenso racchiuso nello slogan: uccidere è un atto d’amore. Ma è questione di tempo, la sostanza non cambia. Però la legge serve: ne basta una piccola, confusa e incompleta magari, ma ci vuole un appiglio perché si possa poi modellare il diritto positivo a colpi di sentenze o decreti. Dicono che non bisogna credere alla balla del piano inclinato, ma andate a dirlo ai belgi o ai canadesi.

@LeoneGrotti

Foto siringa da Shutterstock

Tags: belgiobuona mortecanadaEutanasialeggeSant’Agostinosuicidio assistito
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