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Era piromane, è diventato pompiere. La metamorfosi di Beppe Grillo

Se c’è uno che si è speso più di Renzi per portare a casa il Conte 2 con cinismo da Prima Repubblica e da ultras andreottiano, questo è l'(ex) arruffapopolo fondatore del M5s

Luigi Amicone
15/10/2020 - 18:56
Magazine
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Beppe Grillo con una maschera di Beppe Grillo

Articolo tratto dal numero di ottobre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Dopo il voto settembrino, dove non hanno toccato palla, i cinquestelle sono diventati un ossimoro della Repubblica. Sono di gran lunga il gruppo parlamentare più numeroso. Ma se si dovesse andare al voto, adesso, dopo il taglio dei parlamentari, correrebbero il rischio di guadagnare pochi più seggi dei gruppi Sudtiroler Volkspartei. Nell’ultimo valzer elettorale sono rimasti fuori da tutti i ballottaggi alle comunali. Fuori da tutti i giochi alle regionali. E fuori perfino dalla casa madre del loro Elevato guru fondatore, la Liguria, dove sono stati rasi al suolo dalla ruspa Toti nonostante l’accordo politico e la lista comune col Pd.

Possiamo ben dirlo: mettiamoci una pietra sopra. L’utile idiota di leniniana memoria ha finito la batteria, la propulsione, l’utilità storica. E puoi scommetterci tutte le prediche anticasta che Beppe Grillo e i suoi seguaci hanno raccontato per un decennio che mentre i suoi soci staranno col super attack incollati alle poltrone fino al 2023, al Dibba dei viaggi esotici e motocicletta 10 hp non resterà altro che il cerino in mano.

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Dunque, bye bye ai garzoni del quarto di bue fatto di un paese che fu in cima al primo mondo ancora negli anni della politica ed è diventato la maglia nera della produttività in Europa? In un certo senso, sì. Il Parlamento italiano era già morto abbastanza prima del 70 per cento di “sì” al taglio dei suoi colombari. Ora però la sua riduzione a morta gora è certificata.

Largo ai poltronari fantocci dei capi. Largo alle massonerie capitoline. Largo ai Bettini, il sempre verde stratega Pci-Pds-Ds-Pd che pare abbia un piano per eleggere Walter Veltroni presidente della Repubblica. Largo ai cardinali alla Silvestrini, il principe della Chiesa che benedì i giallorossi sul letto di morte. E largo infine al governo della sinistra più in sintonia col Vaticano della storia d’Italia. Con un Conte investito premier dal rosario di un Papa prima che dal giuramento davanti al capo dello Stato. E un ministro della Salute (l’antica etichetta rossa Roberto Speranza) che per riformare la sanità pubblica ha nominato presidente di commissione nientemeno che un monsignore arcivescovo (Vincenzo Paglia, consigliere spirituale della Comunità di sant’Egidio). Si capisce, è l’anno della Breccia di Porta Pia.

Ciaone al mucchio selvaggio

Il compito di Grillo e dei suoi cinquestelle è dunque passato alla storia. Ma è passato. E dire che sembravano appena un gradino sotto le stelle. Sembrava che potessero diventare anche più ricchi di Marco Travaglio. Ma insomma. Avevano votato Grillo perfino repubbliconi e intellettuali, cattolici e brubru. Grandi stirpi di moralizzatori e blasonati commentatori del Corriere della Sera. E avreste mai detto che il nero Pietrangelo Buttafuoco che strappò la confessione di essere stato fascista niente meno che a Norberto Bobbio, o l’altro, niente meno che l’ex direttore di Lotta Continua, il kompagno Gad Lerner, convenissero insieme come agnellini sotto la direzione di un grillante tintinnatore di manette, chierichetto delle procure?

Se tutto questo è accaduto e un pochino ancora accade come stordita ripetizione dell’uguale, è perché «ci siamo bevuti il cervello e adesso ringrazio anche voi per essere tornato libero, fuori da un incubo, da un’ossessione che ti condanna a mettere giù il piede dal letto incazzato ogni mattina e ogni sera andare a letto un po’ più svuotato». Il voi sono i nuovi amici del centrodestra. L’io narrante è Simone Sollazzo, ex cinquestelle dal codino di cavallo e dall’intervento petaloso in quel di Palazzo Marino, sede del Consiglio comunale di Milano. Finito il lockdown, che evidentemente gli ha guarito i neuroni e lo ha buttato giù dal palco della decrescita infelice da cui arringava uditori metropolitani che si andavano sempre più assottigliando, Sollazzo ha fatto ciaone al mucchio selvaggio e se n’è andato nel gruppo misto. Come d’altra parte sta succedendo un po’ ovunque. Sia stato utile idiota o furbetto del quartierino, la stagione incendiaria di Grillo è finita in caldarrosta. Comunque sia. Era piromane. È diventato pompiere.

Era l’agosto del 2019. Se c’è stato uno che si è speso più di Matteo Renzi per portare a casa il Conte 2 con cinismo da Prima Repubblica e da ultras andreottiano, questo si chiama Beppe Grillo. E se c’è stato uno che, ben prima della catastrofe elettorale dello scorso settembre, consigliava ai suoi personaggi come Nicola Zingaretti, David Sassoli, Paolo Gentiloni che un tempo insultava di “Pd-meno L”, cioè di berlusconiani minori, questo è ancora l’uomo dai boccoli d’argento. Cosa sarà successo per trasformare colui che si credeva l’Elon Musk de’ noantri in pecorella ordinaria e mansueta come mansuete e ordinarie sono tutte le pecorelle del mondo?

Sotto i ponti della scena pubblica sembrano passati Rio delle Amazzoni e mulini del Po da che Giuliano Ferrara lo sfidava a pubblica tenzone. Apostrofandolo di «vergognati saltimbanco buffone!» dalla poltronissima di Qui Radio Londra, Rai 1. Mostrando il guanto e sparando: «Sfido Grillo a venire qui a fare dei ragionamenti invece di inveire, vediamo come va a finire!». Era il 5 maggio 2011 e tutto poi è andato come doveva andare. Grillo latitante. E alla malora.

Dovevano pensarci bene le nostre élite prima di fomentare qualunque idiota pur di far fuori la politica e, dal 1994 in avanti, la leadership di Berlusconi. E invece non solo Travaglio e il resto di quella roba lì sono andati dietro a Grillo. Ma pure il fior fiore dei giornali di sistema. Non solo gli sbirri senza neanche l’onore della divisa. Ma pure il bel mondo della moda e degli imprenditori, delle Iene di Mediaset e delle veline delle procure. Il tutto condito col tambureggiamento della disinformazione.

Così è stata innaffiata l’erbaccia abbarbicata al ricino giustizialista. Dieci anni orsono l’Elefante del Foglio aveva letto bene le carte del guappo. «Se uno ha una minima fiducia negli elettori deve dare il meglio che ha. Non il peggio. Il peggio è lo spirito selvaggio, la capacità di insultare chiunque, questa grande spinta demagogica e qualunquista che ti mette in condizione di dire male di tutti e quindi di nessuno. Ragionare richiede una certa pazienza e una certa – non intelligenza – ma propensione morale a usare l’intelligenza nel posto in cui l’intelligenza è più importante, la politica, cioè l’arte del vivere insieme e di convivere in una Repubblica».

Il governo fino al 2023

Riavvolgiamo il film. Da una parte gli elettori che passata ’a nuttata hanno capito che per quanti redditi di cittadinanza possano regalare loro questi dell’antipolitica del voto di scambio, non c’è scampo: il modello Ilva non funziona, se non lavori non mangi. Dall’altra, l’improvvisa conversione a “U” di uno sfanculatore della politica che si butta a fare cucina politica, ma così bassa, che pur di stare al governo cambia l’alleato da destra a sinistra. Da una parte, l’imbroglio che viene al pettine e prende una sonora bastonata dall’elettore nonostante l’elettore abbia incassato non si sa quanti bonus monopattini e sussidi. Dall’altra, nell’Italia dove al potentissimo Palamara che decise le nomine apicali di almeno 84 uffici giudiziari un Csm delegittimato corre in fretta e furia ad approntare il plotone di esecuzione (come rilevato da Paolo Mieli sul Corriere della Sera, “Quanta fretta al Csm”), in un paese dove non è vero che non esistano inchieste alla Speedy Gonzales (se c’è di mezzo un politico, state tranquilli) nel caso disgraziato che ha riguardato Beppe Grillo, tutto tace e parlare di “lentezza dell’inchiesta” è come dare della lepre a un lumacone. Neanche fosse il figlio segreto di un Berlusconi o di un Formigoni qualsiasi, la vicenda giudiziaria riguardante Ciro Grillo e alcuni suoi amici è avvolta nella più spessa delle nebbie.

E poi dice che Bettini, lo stratega del Pd, dev’essere proprio un genio della politica per aver profetizzato, all’indomani delle regionali di settembre: «Vedrete che l’accordo con i cinquestelle si farà, il governo andrà fino al 2023 e questo parlamento eleggerà il prossimo presidente della Repubblica». Povero Grillo, il fu sfanculatore selvaggio che oggi potrebbe presentarsi alla porta, gentilmente bussare e legittimamente confessare: “Sono un robot del Pd e vengo in pace”.

Tags: AntipoliticaBeppe GrillocastaCorriere della Seragiuliano ferraragiuseppe contegoverno conte bisgrilliniLuigi AmiconeMatteo Renzimovimento 5 stelleMovimento 5 Stellepartito democraticoPdreferendum taglio parlamentaritempi ottobre 2020
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