Dieci punti, in una corsa contro il tempo, dopo la strage degli 800 morti al largo della Libia nella notte tra sabato e domenica. Dieci tentativi di soluzione alla tratta di esseri umani attraverso il Mediterraneo che sono stati avanzati ieri dal commissario Ue per l’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, e dall’Alto rappresentante per le politiche estere, Federica Mogherini, in vista del vertice d’urgenza dei capi di stato e di governo di giovedì a Bruxelles. «Le alternative più probabili sono tre, ma a mio avviso sono tutte inefficaci» commenta a tempi.it Stefano Torelli, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), esperto di Medio Oriente e politiche internazionali.
Torelli, quali sono le principali proposte sui tavoli della diplomazia europea?
La prima idea è quella del blocco navale, che attualmente è circolata in senso negativo, vedendo cioè praticamente tutti contrari. È l’ipotesi che più facilmente parla alla pancia, perché apparirebbe come un’opzione semi militare. Si tratta di schierare delle navi davanti alle coste europee per impedire l’accesso di barche o gommoni. È una misura che va contro l’ordinarietà del diritto internazionale e occorrerebbe l’avallo di organizzazioni internazionali come l’Onu, quindi non è semplice da attuare. Inoltre è quasi paragonabile ad un atto di guerra, perché naturalmente è di sicuro implicato uno sconfinamento in acque internazionali, o addirittura straniere, in questo caso quelle libiche, che sarebbe paragonabile ad un’aggressione militare. Quest’opzione non risolve poi il problema alla radice e non risponde alla necessità che questa tragedia umanitaria finisca. Una soluzione del genere non impedirebbe alle genti di scappare e i trafficanti facilmente individuerebbero delle rotte alternative da battere.
La seconda ipotesi è rafforzare Triton, trasformandolo in un’operazione simile a “Mare Nostrum”. Che ne pensa?
Se ci fosse l’effettiva volontà di realizzare quest’opzione, sarebbe un passo avanti. I dati dimostrano che Mare Nostrum è stata più efficace di Triton: con la prima operazione, in un anno, sono stati salvati 113 mila migranti e arrestati 500 trafficanti di uomini. Nel trimestre ottobre-dicembre 2013, secondo i dati dell’agenzia europea Frontex, furono circa 16 mila gli sbarchi clandestini per mare (su tutti i confini europei). Con Triton in azione, nel trimestre ottobre-dicembre 2014 gli sbarchi clandestini sono stati più di 46 mila.
Quindi?
Occorre che la nuova missione abbia un carattere di ricerca e salvataggio, come Mare Nostrum, perché sia più efficace e deve spingersi lungo un raggio di azione più ampio di quello attuale, 100 miglia, contro le 30 attuali di Triton. In questo modo, non solo verrebbero salvate molte vite umane, ma più facilmente verrebbero identificati i fiancheggiatori delle tratte: Mare Nostrum è stata un’operazione più efficace in termini umanitari e di contrasto. Chiaramente resta il problema del “dopo”: i migranti potrebbero essere ridistribuiti nei paesi membri?
Questa è la domanda al centro di una terza ipotesi: il trattato di Dublino va rivisto?
L’aspetto più criticato di questo trattato sulle richieste di asilo è che le pratiche debbano essere portate avanti dai paesi di primo approdo dei migranti. Quindi, se l’Italia soccorre dei barconi, le richieste d’asilo devono essere portate avanti in Italia, a prescindere dal fatto che magari gli stessi migranti vogliano invece andare in un altro paese, ad esempio nel Nord Europa. In questi giorni c’è sul tappeto l’ipotesi di ridistribuire delle quote di migranti e di richiedenti asilo fra tutti i paesi, in una parziale revisione del trattato di Dublino: ma l’Ue non ha gli strumenti per imporre politiche sulle migrazioni ai paesi membri. Oggi il presidente della Repubblica Ceca ha detto chiaramente che intende opporsi ad esempio ad un’opzione del genere, e sarebbero in tanti a seguirlo. Su questo aspetto non si andrà avanti nel breve periodo, perché manca la volontà di tutti gli Stati membri di arrivare ad un accordo.
C’è anche chi suggerisce un intervento umanitario direttamente nei paesi africani, ad esempio in Egitto, dove creare campi per l’accoglienza di tutti i richiedenti asilo, in modo da sottrarli alle mani dei trafficanti di uomini. Pensa sia un’opzione realizzabile?
In Libia, data la situazione di caos interno al paese, assolutamente non è possibile immaginare un intervento umanitario come un campo di accoglienza, perché ai migranti eventualmente raccolti lì non verrebbero garantiti i diritti più basilari. È già accaduto in passato che si applicasse questa soluzione, con esiti allarmanti. Ciò vale per tutti i paesi africani: se anche si proponesse l’Egitto, sappiamo bene che è un paese che presenta deficit nel rispetto dei diritti umani dei migranti. Nemmeno una settimana fa, ad esempio, la Marina militare egiziana è stata protagonista di sparatorie contro migranti clandestini intercettati in mare. Lo stesso si può dire di un altro paese subsahariano attraversato dalle rotte dei migranti, il Niger, dove sicuramente ogni campo diventerebbe un campo di concentramento.
Secondo lei quali sono allora le soluzioni da adottare?
Nel breve termine, purtroppo si può cercare di far fronte all’emergenza con un’operazione simile a Mare Nostrum, ma che coinvolga tutti i paesi europei, non solo l’Italia, che già quest’anno ha dovuto affrontare la maggior parte degli sbarchi (170 mila, contro i 4.200 della Spagna o i 43.500 della Grecia). Ma nel lungo termine occorre anche occuparsi dei teatri di conflitto in Africa e in Medio Oriente: è chiaro che oggi non si può pensare ad interventi militari, tuttavia la diplomazia deve smettere di voltarsi dall’altra parte e pensare a soluzioni specifiche. Attualmente i paesi europei sono divisi su tutte le soluzioni da adottare ad esempio in Libia, e ciò ha creato l’immobilismo della comunità internazionale. Questo malgrado l’intervento contro Gheddafi sia partito proprio per iniziativa di paesi europei.
Si stava meglio con Gheddafi?
Non voglio dire questo, ma segnalo che nel 2010, dopo la firma del trattato italo-libico, i migranti che avevano attraversato il Mediterraneo erano stati 4.500. Nel 2014 siamo giunti alla quota complessiva di 219 mila persone. Credo che a questo punto sarebbe utile se nelle sedi opportune i rappresentanti dei paesi europei si sedessero a parlare di quanto sta avvenendo in Africa e non solo. Prendiamo lo Yemen: in questo momento è in corso un conflitto che ha provocato 2.500 rifugiati, che ora si sono spostati verso il corno d’Africa e che plausibilmente potrebbero proseguire verso l’Europa. Eppure nessuno sta prendendo coscienza di questo conflitto.