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«Ecco cosa noi anti Trump abbiamo sottovalutato del trumpismo»

La lucida analisi del voto in America di Andrew Sullivan, giornalista conservatore ostile al presidente

Redazione
12/11/2020 - 15:48
Esteri
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Immagine di Trump sul furgone di un sostenitore

Il rifiuto di Donald Trump di darla vinta a Joe Biden conferma esattamente il motivo per cui va cacciato dalla Casa Bianca: Trump ha il vizio di «sabotare la democrazia americana per il suo narcisismo patologico». Parola di Andrew Sullivan, uno che non le ha mai mandate a dire al palazzinare newyorkese divenuto presidente degli Stati Uniti. Sullivan è un punto di riferimento per il mondo conservatore che non ha mai digerito la scalata di Trump al partito repubblicano, pur mantenendo un’apertura mentale che anche recentemente gli è costata parecchio (la rottura della collaborazione con il New York Magazine per divergenze di vedute su Black Lives Matter).

Di questa apertura mentale Sullivan dà prova anche in un commento scritto per il settimanale britannico The Spectator, dove conferma di augurarsi una vittoria di Biden, tanto da darla di fatto per assodata (anche se assodata non è ancora, e sicuramente non sarà la “valanga” evocata prima del voto dallo stesso Sullivan), e tuttavia riesce a mettere in fila con lucidità invidiabile una serie di fattori che non tutti i “Never Trumpers” sembrano aver colto.

Se si può dire che Trump ha perso, secondo Sullivan, bisogna ammettere invece che il trumpismo ha ottenuto un risultato moto migliore delle attese. «I sondaggi hanno – di nuovo – sottostimato la forza dei repubblicani», scrive il giornalista. «In un periodo di crisi sanitaria e recessione, il Gop [acronimo di Grand Old Party, soprannome del Partito repubblicano, ndt] ha incrementato i seggi alla Camera e probabilmente terrà al Senato, di fatto mettendo sotto scacco qualunque ambizione progressista avesse Biden».

Ma soprattutto Trump ha cambiato il partito, continua Sullivan, sancendo la fine del neoconservatorismo alla Bush, per intenderci, ossia della corrente repubblicana devota alla globalizzazione e indifferente, se non favorevole, alle migrazioni di massa. Oggi il principale partito della destra statunitense è «nazionalista, culturalmente conservatore, rivolto ai perdenti del capitalismo così come ai suoi vincitori, moderatamente protezionista e isolazionista». Come osservano in tanti, anche per Sullivan la mutazione del Gop è una «reazione alle conseguenze non volute del successo del neoliberalismo», successo da ascrivere proprio ai conservatori pre-Donald. Oggi il partito «parla in una lingua che gli americani della classe lavoratrice capiscono, priva dei neologismi militanti [woke, ndt] dell’élite educata».

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Risiede in questo l’appeal del trumpismo, ed «è qui che penso di avere frainteso il motivo per cui gente altrimenti perbene ha potuto sostenere questo orribile sabotatore delle regole democratiche», confida Sullivan. Questa gente secondo il giornalista ha sottovalutato la minaccia per il sistema americano rappresentata da Trump, tuttavia «credo che per lo più non siano pericolosi estremisti, né che siano ignari delle pessime qualità personali di Trump».

Semplicemente, molti elettori hanno votato Trump per i vantaggi economici di cui hanno beneficiato. Di più: se non ci fosse stata la recessione causata dal Covid, il presidente avrebbe vinto a mani basse, ricorda Sullivan.

«Uno degli esiti più emblematici dei sondaggi quest’anno è emerso in risposta alla domanda capitale resa celebre da Ronald Reagan: “Pensa di stare meglio economicamente oggi rispetto a quattro anni fa?”. Nelle precedenti campagne per la rielezione a presidente, Reagan vinse a valanga con il 44 per cento di risposte positive a questo quesito; George W. Bush con il 47 per cento; Obama con il 45. Quanto a Trump, un clamoroso 56 per cento degli elettori dice di stare meglio oggi di quando è iniziato il suo mandato – eppure lui ha perso. Questo suggerisce qualcosa riguardo a quanto Trump si sia rivelato inadeguato alla presidenza per gli americani».

Però gli elettori statunitensi non hanno bocciato solo Trump. Hanno anche «inequivocabilmente rigettato la sinistra militante [woke left, ndt]».
Le rivolte antirazziste degenerate in violenza e vandalismo hanno fatto cambiare idea a molti elettori riguardo alle priorità in base a cui scegliere il proprio candidato alla Casa Bianca. E martellare per anni l’opinione pubblica sul presunto suprematismo bianco di Trump non è servito a molto, visto che il presunto suprematista ha guadagnato consensi tra le minoranze (neri, ispanici, asiatici) rispetto al 2016. E, aggiunge Sullivan, «i voti dei gay per Trump potrebbero essere raddoppiati».

Spiegazione:

«Perché? Innanzitutto, molti vedevano un quadro più complesso rispetto a “Trump è un razzista”. Numerosi afroamericani, per esempio, sono spaventati dalla campagna per togliere i fondi alla polizia e contenti di stare meglio economicamente, quanto meno prima che il Covid-19 colpisse. Molti cittadini ispanici immigrati legalmente, checché ne pensi la sinistra, non vogliono un’immigrazione di massa senza freni e sono conservatori dal punto di vista sociale. Alcuni asiatici vedono nella sinistra militante [woke, ndt] una barriera alla possibilità di accesso all’educazione per i loro figli, e molti gay votano semplicemente in base a varie disparate tematiche, ora che la questione dei diritti civili è risolta».

Stessa sorte per il battage altrettanto insistito in questi anni sul sessismo del presidente. Alla resa di conti le donne bianche hanno votato in maggioranza per Trump.
E non è vero che bisogna essere ignoranti per sostenere il tycoon con i capelli gialli. Questo argomento un po’ “razzista”, come ha scritto in più occasioni anche Tempi, è servito solo a far sballare i sondaggi, spingendo gli intervistati a nascondere la loro reale preferenza trumpiana per risultare più “presentabili”. In proposito Sullivan cita Eric Kaufmann, «uno dei più acuti politologi» su piazza:

«Kaufmann osserva che i sondaggi hanno sottostimato i voti per Trump degli elettori bianchi istruiti: “Gli exit poll mostrano che fra i bianchi laureati Trump è arrivato a 49-49 [contro Biden], e ha ottenuto addirittura un vantaggio tra le donne laureate di 50-49! Il dato eccede le rilevazioni pre-elettorali tra i bianchi laureati di 26-31 punti”».

Insomma, come abbiamo provato a spiegare anche noi nel nostro piccolo, secondo Sullivan la “boria liberal”, o peggio la «minaccia» dell’intolleranza di sinistra, ha spinto anche buona parte del ceto alto a preferire Trump. Altro che Onda Blu. E questo per Sullivan – che dà per assodata la vittoria di Biden e ne è felice – è insieme alla sconfitta di Trump un segno che «la democrazia in America funziona, non sta crollando». Gli americani, pur divisi come non mai, sono andati a votare in massa e hanno bocciato tanto il presidente «unfit» quanto l’estremismo della sinistra «woke». Si può tornare a fare politica.

Foto Ansa

Tags: andrew sullivanelezioni usa 2020joe bidenpresidenziali usa 2020spectatorthe spectatorUSAusa 2020
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