Elezioni Usa. Non c’è un vincitore, ma c’è un perdente: la boria liberal
Come ampiamente previsto, l’Election Day negli Stati Uniti non ha consegnato al paese un vincitore. Circa 64 milioni di americani hanno votato per posta e la maggior parte di queste schede non sono ancora arrivate né sono state conteggiate. Donald Trump, dunque, non ha vinto, Joe Biden non ha perso, ma c’è una certezza: tutto l’apparato mediatico americano ha preso, ancora una volta, una colossale cantonata, a dimostrazione che i giornali liberal più importanti e influenti sono scollegati dal paese reale. Biden doveva vincere con una valanga di preferenze e invece sarà una sfida fino all’ultimo voto.
TESTA A TESTA NEGLI STATI CHIAVE
Per conquistare la Casa Bianca servono 270 grandi elettori: al momento Biden ne ha 227, Trump 213. Il presidente repubblicano ha vinto a sorpresa, rispetto alle attese di tutti i sondaggisti (tranne uno), alcuni Stati chiave come Texas, Ohio e Florida, dove i 100 milioni investiti dal miliardario Bloomberg per aiutare i democratici si sono rivelati un pessimo investimento. Si deciderà quindi tutto in una manciata di Stati chiave: Arizona, Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, North Carolina e Georgia. Il distacco in questi Stati è minimo, al momento Biden è avanti solo in Arizona, ma è stato lo sfidante democratico a consigliare il ricorso al voto postale e ci si aspetta che tutto potrebbe cambiare nelle prossime ore.
In mattinata si chiarirà chi ha vinto nel Wisconsin, i risultati della Georgia potrebbero essere definitivi nel pomeriggio ma per quanto riguarda North Carolina, Pennsylvania e Michigan potrebbero volerci ancora giorni. Trump ha bisogno di mettere le mani sui grandi elettori di Georgia, Wisconsin, Michigan e North Carolina per essere confermato alla Casa Bianca. Oppure trionfare in Pennsylvania e in tre Stati tra quelli sopra elencati. Biden, invece, diventerà presidente se oltre all’Arizona vincerà in Georgia e in uno Stato tra Michigan e Pennsylvania.
IL VOTO POSTALE E LA CORTE SUPREMA
Il tycoon con una delle sue uscite irrituali ha annunciato di aver «vinto», denunciando la «frode elettorale» del voto postale e il tentativo di «rubare le elezioni» da parte dei democratici. Ha anche dichiarato che cercherà di fermare il conteggio ricorrendo alla Corte Suprema, ma la validità delle schede che arrivano giorni dopo l’Election Day, purché recanti il timbro postale con una data precedente al voto, è certificata da leggi statali e dunque non è chiaro come potrebbe spuntarla davanti ai giudici. Dal canto suo Biden si è detto «ottimista»: «Siamo sulla strada per la vittoria, va contata ogni singola scheda. Né io né Trump possiamo dire chi ha vinto le elezioni».
Ha ragione l’ex vicepresidente di Barack Obama: al momento è impossibile dire chi vincerà le elezioni. Sicuramente però si può affermare che l’establishment liberal americano ha perso, anzi straperso. I sondaggi, proprio come nel 2016, si sono rivelati carta straccia. Lo aveva previsto Phillip Stutts (ne abbiamo parlato qui ieri), analista con 24 anni di esperienza, secondo cui le rilevazioni sono falsate perché il campione è troppo sbilanciato a sinistra e perché chi vota Trump preferisce non dirlo pubblicamente.
L’ESTABLISHMENT PROGRESSISTA AMERICANO HA STRAPERSO
Le incessanti campagne dei media – dal New York Times al Washington Post fino alla Cnn – a favore delle proteste antirazziste, con analisi infarcite di giustificazioni nei confronti dei violenti e condanne per la polizia tout court, non hanno fatto che spingere verso Trump tutti quegli elettori ispanici e afroamericani che, al pari degli altri americani, vogliono invece sicurezza economica e ordine pubblico.
I giornali liberal hanno prima creato ad arte e poi piantato le tende nella bolla dei social media, arrivando a credere che le opinioni che vengono espresse in quell’ambiente coincidano con quelle della maggioranza degli americani.
IL MONITO INASCOLTATO DI BARI WEISS
Avrebbero fatto meglio invece ad ascoltare Bari Weiss, la giornalista di area centrista che a luglio lasciò il New York Times, e che nella lettera di dimissioni scrisse:
«Pur non comparendo nel colophon del New York Times, Twitter è diventato in ultima analisi il suo vero direttore. Poiché l’etica e il costume di quella piattaforma sono diventati quelli del giornale, il giornale stesso è diventato sempre più una specie di spazio performativo. Le storie vengono selezionate e raccontate in modo da soddisfare la più ristretta delle platee, anziché consentire a un pubblico curioso di leggere cose sul mondo e poi trarre le proprie conclusioni. Mi è stato sempre insegnato che i giornalisti hanno il compito di stendere la prima bozza della storia. Adesso, la storia stessa non è che qualcosa di effimero che va modellato secondo le necessità di una narrazione predeterminata».
«LA SINISTRA HA SMESSO DI CURARSI DEI PIÙ DEBOLI»
Doveva essere una vittoria schiacciante per Biden e Kamala Harris, non è andata così. Doveva essere una vittoria schiacciante per i democratici al Senato, mentre come riporta l’Associated Press il Congresso è più in bilico che mai. A prescindere da chi abiterà alla Casa Bianca per i prossimi quattro anni, i progressisti dovranno chiedersi ancora una volta: perché gli americani votano l’impresentabile Trump? Una prima riposta l’ha fornita oggi al Corriere l’autorevole politologo Michael Walzer:
«Trump ha un seguito molto forte per la sua capacità di mobilitare, per il suo carisma. E poi è verissimo che la sinistra ha smesso di curarsi dei più deboli della società. Così i “forgotten men” hanno cercato rifugio da Trump. Questa è la vera lezione degli ultimi quattro anni».
Foto Ansa
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