Di Battista, ora dicci: perché si dimise Lupi?
Corriere della Sera, oggi, pagina 20, articolo di taglio basso. Titolo: “Grandi opere, l’indagine che sfiorò Lupi finisce in archivio”. Il lettore meno avveduto farà persino fatica a ricordare di che si tratti, ma non noi che a quell’inchiesta che portò alle dimissioni di Maurizio Lupi, allora ministro delle Infrastrutture, dedicammo una copertina nel marzo 2015 dall’eloquente interrogativo “Chi sono i lupi?”.
Lo «spregiudicato militante ciellino»
I giornali e la procura di Firenze l’avevano definito il “sistema dell’1 per cento”, messo in piedi da Ercole Incalza, il padre dell’Alta velocità in Italia, e dall’imprenditore Stefano Perotti. Il ministro Lupi, mai indagato, era stato tirato in ballo proprio a causa di quest’ultimo che aveva regalato un orologio a suo figlio. Tanto bastò per accendere il ventilatore e spargere la famosa sostanza, portando Lupi alle dimissioni. Tanto bastò a Francesco Merlo per vergare su Repubblica un articolo vergognoso e delirante (“I peccati di famiglia”, 19 marzo 2015) in cui definiva Lupi un “padre degenere”, «spregiudicato militante ciellino» «di quel gran fumo di clericalismo simoniaco» che è la Compagnia delle Opere. Tanto bastò ad Alessandro Di Battista per inscenare alla Camera una supercazzola sulle «casse dello Stato svuotate da malfattori, appalti truccati concessi agli amici, siano essi mandanti ciellini o coop rosse» e attaccare Lupi per «l’ostentazione di fede cristiana e comportamenti farisei, di adunate di Cl e ristrette spartizioni di potere».
Più suggestioni che prove
Tempi lesse le carte dell’inchiesta e ne trasse la seguente conclusione: non c’è niente, tutto fumo, niente bustarelle, niente mazzette. Già allora, mentre sui giornali si attaccava a testa basta il ministro (e Incalza e Perotti finivano in cella in carcerazione preventiva), Tempi, assieme a pochi altri organi d’informazione, sollevò dubbi su un’indagine basata più su “suggestioni” giornalistiche che prove.
Quattro anni dopo
Ora il Corriere ci informa che è stata «fraintesa l’intercettazione chiave: così si chiude a Milano lo stralcio dell’inchiesta fiorentina su Palazzo Italia». Sulla sua pagina Facebook, Lupi commenta l’accaduto e termina con un interrogativo che vale per lui e per tutti quelli finiti nel tritacarne mediatico (e sono tanti):
Mi dimisi il 15 marzo 2015, pur non essendo mai stato indagato, per le polemiche suscitate da quell’inchiesta e per gli attacchi alla mia famiglia. Oggi, a distanza di 4 anni, continuano le archiviazioni. Ero certo, come lo sono adesso, della correttezza del lavoro dei miei collaboratori al ministero e non ho mai contestato la legittimità delle indagini ma sempre il processo mediatico che ne è seguito e la sua strumentalizzazione politica. Non rimpiango di essermi dimesso perché con quel gesto volevo testimoniare la mia concezione di politica e di governo.
Mi domando solo: chi ripagherà dei giorni terribili passati dalle persone coinvolte, le carriere rovinate, la sofferenza dei familiari?
Foto Ansa
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