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La Dad e una domanda: a cosa serve la scuola?

Di cosa è mancanza questa mancanza della scuola in presenza? C'è bisogno di un posto che sia anche "luogo educativo"

Matteo Foppa Pedretti
26/03/2021 - 11:32
Società
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scuola studente fa lezione online davanti al computer

Secondo di una serie di articoli. Il primo è stato pubblicato qui: “Andare a fondo della richiesta di una scuola in presenza“.

Perché la Dad, che pure l’anno scorso aveva fatto gridare al miracolo di una scuola reattiva, vicina e vitale, in una Italia tramortita dalla prima ondata di Covid, spaventata e depressa davanti al lockdown, oggi ci sembra la certificazione di una disfatta? A cosa serve, o meglio ancora, a chi serve, la scuola di cui adesso avvertiamo così crudamente l’assenza? Come se prima fosse presente…

Emergenza educativa

Già, perche prima le cose non è che fossero molto meglio. Da anni si parla di emergenza educativa. Di crollo delle evidenze (o forse, meglio, delle esperienze che permettono il manifestarsi delle evidenze). Da anni i numeri degli abbandoni, delle sindromi da disagio scolastico, dell’incidenza dei disturbi alimentari sono in salita, così in situazioni di insuccesso scolastico come in quelle di grande competitività e performance elevate. Da ormai molto tempo, e senza bisogno di spegnere audio e video, gli studenti si disconnettevano nascondendosi dietro gli zaini.

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Da anni (forse da sempre) il mito della classe di amici, cazzari ma uniti nel momento del bisogno è, per l’appunto, un mito. Sono secoli che ci si lamenta l’abbassarsi del livello qualitativo dell’apprendimento, la scomparsa della figura del maestro, o il suo rifugiarsi in spazi extra scolastici. Da anni il conflitto tra la scuola e le famiglie, le aziende, l’università, il mutuo risentimento e la reciproca incomunicabilità sono fenomeni registrabili (e registrati).

Cosa manca ora, che prima, almeno fantasmaticamente c’era?

Niente. Solo che ora, al non ripetersi dello stupore per la novità della Dad, sono finite le illusioni. E il desiderio del ritorno alla scuola in presenza rischia di essere il sogno di una Arcadia percepita come una normalità perduta. A meno che non diventi il sintomo doloroso che fa affrontare percorso diagnostico e terapia.

Di cosa è mancanza questa mancanza?

Di cosa è mancanza questa mancanza, la cui richiesta si fa sentire con una forza che raramente aveva assunto? Cosa manca, quando diciamo che manca la scuola in presenza e con questo la presenza della scuola?

Azzardo: manca la presenza di una istituzione sociale, alleata di madri, padri e figli. Di una istituzione che sia capace di tenere insieme un popolo, in un tempo, come l’attuale, in cui si avverte che la fragilità del singolo non è soccorsa ma sgretolata dalla presenza di un potere che parla per decreti e per piani.

In un tempo, come il futuro, dove la nostra fragilità, inselvatichita e incattivita, potrà essere aggiogata ai progetti di ricostruzione che non sembra abbiano necessità di tenere conto dei nostri bisogni. Della solitudine, dell’incertezza, della depressione e della paura dei nostri figli. Delle nostre intenzioni.

Non mi interessa qui la sociologia o l’ingegneria politica: voglio rimanere al livello della domanda del poeta: “Di cosa è mancanza questa mancanza?”

Se una educazione del cuore…

Erano giorni drammatici, quelli del 2003, con le bare dei nostri soldati uccisi a Nassirya. Con le bandiere a mezz’asta. Con le lacrime. Gli abbracci. I funerali di Stato, la retorica e il suo ultimo, inestirpabile, mismatch con il dolore.  

«Se ci fosse una educazione del popolo, tutti starebbero meglio». Questo strano commento, in prima serata al telegiornale, fu quello che disse don Luigi Giussani. Apparentemente fuori contesto, rispetto alla guerra, alla geopolitica, alla ferita di una nazione.

«Quanto canto popolare potrebbe risorgere, se una educazione del cuore della gente diventasse orizzonte di azione… Questa sarebbe la vera ricchezza della vita di un popolo».

Non siamo messi molto meglio. Per l’oggi e per le prospettive del futuro. Come sembra fuori contesto, questo punto dolente, rispetto alla pandemia, ai lockdown, alla ferita di una nazione. Che forse si fa sentire nella richiesta di tenere aperte le scuole, e in tutte le sue possibili riduzioni. Di questo è mancanza, questa mancanza. Di un luogo di educazione del popolo. Di questo orizzonte di azione.

Il luogo e il bisogno educativo

Di un luogo non episodico, non casuale. Di una istituzione sociale che ci sia per rispondere alle «intenzioni della vita», come scriveva Vaclav Havel ne Il potere dei senza potere.

Può darsi che mi sbagli, e consideri la richiesta di presenza della scuola più di quello che in realtà è. Ma se invece, anche parzialmente, anche in larga parte inconsapevolmente fosse il bisogno di famiglie, studenti, docenti, oppure, ancora di più, il bisogno di gente non legata alla scuola dal vincolo utente/servizio di avere un luogo stabile nel tempo in cui entrare in relazione (o semplicemente che si sa che c’è) oltre il privato incomunicabile contenuto nelle mura di casa e la casualità assoluta del centro commerciale?

Un luogo in cui entrare in relazione che sia in grado di dare occasioni di risposta al bisogno educativo che le madri e i padri hanno per i loro figli e per se stessi?

Che compito si aprirebbe davanti a noi scuole libere e autonome, a noi scuole tutte (paritarie e statali), per l’oggi e per il futuro?

(2- continua) – foto Compare Fibre da Unsplash

Tags: dadEducazionelockdownLuigi GiussaniScuolaScuole Paritarie
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