Cina. A Shanghai il lockdown non è affatto finito

Di Leone Grotti
10 Giugno 2022
Milioni di persone sono ancora chiusi in casa e non possono uscire neanche per fare la spesa. I nuovi contagi sono pochissimi (9) ma il regime non intende fermarsi. Una follia che ha scatenato proteste in molti distretti
Proteste a Shanghai, in Cina, contro il lockdown

È passata una settimana e mezzo da quando il lockdown a Shanghai è formalmente finito. Ma la realtà è molto diversa nel cuore finanziario della Cina e ci sono ancora milioni di persone che non possono uscire di casa.

Interi distretti ancora in lockdown

Il distretto di Yangpu è ancora in lockdown e il 29 maggio le autorità locali hanno installato nuove barriere e recinzioni per isolarlo dal resto della città. I distretti di Xuhui e Huangpu, così come alcune aree residenziali di quello di Jing’an, non sono completamente in lockdown, ma in regime di stretta sorveglianza e le possibilità dei residenti di uscire e muoversi liberamente sono fortemente limitate.

Le autorità comuniste hanno inoltre annunciato che a partire da sabato i 2,7 milioni di abitanti del distretto di Minhang entreranno in lockdown per sottoporsi a una campagna di massa di test anti-Covid. Ufficialmente nel distretto non c’è neanche un positivo, ma se anche un solo caso venisse trovato è probabile che il distretto affronterà un minimo di 14 giorni di chiusure.

I cinesi protestano in strada

Quando pochi giorni fa il distretto di Xuhui è stato nuovamente chiuso, per almeno 14 giorni, in molte aree residenziali la gente è scesa in strada per protestare contro la polizia tentando di forzare le gabbie che chiudono il distretto e mostrando il dito medio agli agenti, gridando: «Libertà, uguaglianza, democrazia, stato di diritto».

Anche chi abita in aree a basso rischio e può uscire non è affatto libero come prima, come pretende invece il regime comunista. Chiunque voglia girare per la città, anche solo per andare a lavorare, deve presentare al responsabile del proprio comitato residenziale il risultato di un tampone negativo effettuato nelle ultime 48 o 72 ore. Altrimenti non è possibile lasciare la propria abitazione, tanto meno entrare in un negozio o prendere i mezzi pubblici. «Fare la coda di ore e ore per i tamponi è diventata la vita normale per chiunque abita a Shanghai», dichiara a Radio Free Asia Wang Ning. «Io ne ho fatto uno la scorsa notte, quindi domani potrò uscire ma è come avere costantemente una spada di Damocle sulla testa».

Testimonianze e dati sul nuovo numero di Tempi

Milioni di persone, di fatto, sono ancora in lockdown a Shanghai, una città di oltre 25 milioni di abitanti dove ieri sono stati registrati appena nove nuovi casi positivi. Attualmente non esiste alcun pericolo per la salute dei cittadini o per la tenuta del sistema sanitario del centro nevralgico dell’economia cinese, ma le restrizioni continuano a essere imposte ai cittadini nel nome della strategia “zero Covid”, che prevede che il virus debba semplicemente sparire.

Nonostante la rabbia, l’esasperazione e i continui disagi, la situazione odierna a Shanghai è sicuramente diversa da quella degli ultimi due mesi, quando un lockdown rigidissimo e «disumano» ha portato a morire di stenti e a suicidarsi centinaia di residenti. Sul numero di giugno di Tempi, in uscita tra pochi giorni, vengono raccontati con testimonianze, racconti, dati e numeri i danni incalcolabili inferti dal lockdown agli abitanti di Shanghai e all’economia locale e mondiale. Una crisi, umanitaria e sociale, autoprodotta dal regime comunista «senza un perché», come dichiarato da un poliziotto a una famiglia della città.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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