Shanghai, il lockdown è finito. Anche il Covid obbedisce al regime

Di Leone Grotti
02 Giugno 2022
Ieri 24 milioni di persone sono state "liberate" dal governo per tornare a una vita (quasi) normale. In città si registrano ancora casi positivi, ma il Partito comunista ha deciso che può bastare. I cinesi festeggiano per le strade, ma non tutti: «Ho perso due mesi della mia esistenza»
A Shanghai, in Cina, la popolazione festeggia la fine del lockdown dopo 65 giorni

A Shanghai, in Cina, la popolazione festeggia la fine del lockdown dopo 65 giorni

Così com’era improvvisamente apparso, il Covid sembra aver misteriosamente abbandonato Shanghai. Dopo 65 giorni di lockdown estenuante, che ha costretto oltre 25 milioni di persone a vivere murate in casa, il governo ha deciso di eliminare quasi tutte le restrizioni e di restituire alla popolazione una parvenza di normalità. Niente più sveglia alle 5 del mattino per il tampone quotidiano, niente più ricerche ossessive via app per trovare da mangiare, niente più discussioni e litigi con i comitati residenziali guidati da un segretario del Partito comunista, niente più Dabai che si presentano alla porta per trascinare via nei temuti Fangcang i malcapitati positivi al virus, niente più recinzioni e filo spinato che sigillano i quartieri.

«È come se fossi uscito di prigione»

Fuochi d’artificio, balli per strada, grida sguaiate. Gli abitanti di Shanghai hanno festeggiato il ritorno alla vita. Gli organi di stampa del regime sottolineano che il cuore finanziario della Cina ha «sconfitto» il virus grazie alla guida del Partito. Ma la festa è artificiale e c’è chi dà voce a un sentimento collettivo tanto reale quanto il sollievo legato alla fine del lockdown: «Ho perso due mesi della mia vita che non torneranno più», dichiara al Wall Street Journal Euphe Tang, residente nel distretto di Jing’an.

«Mi sento come se fossi uscito di prigione dopo aver scontato la mia pena», afferma Shang Bin, che vive nel distretto di Pudong, ricordando che inseguendo la strategia “zero Covid” il governo ha trasformato una delle più grandi città della Cina e del mondo in un carcere a cielo aperto.

Lockdown finito, ma non per tutti

La nuova normalità, in realtà, non assomiglia ancora a quella vecchia. Solo chi dispone di un Qr code sanitario di colore verde può uscire di casa e l’accesso ai negozi che hanno riaperto, e ai mezzi di trasporto che sono ripartiti, è possibile solo mostrando un tampone negativo effettuato negli ultimi tre giorni.

Circa 650 mila persone non possono ancora godere delle libertà gentilmente concesse dal governo, trovandosi in una delle zone “isolate” e “chiuse”. I ristoranti tornano a cucinare, ma sedersi ai tavoli è ancora vietato. I centri commerciali possono accogliere i clienti solo al 75 per cento della loro capacità; cinema, musei e palestre restano chiusi così come le scuole, con gli studenti confinati a casa davanti a uno schermo per seguire le lezioni. Chiunque voglia lasciare Shanghai, per spostarsi in un’altra città, dovrà restare in quarantena per 7 o 14 giorni al ritorno.

Shanghai non è libera

Martedì a Shanghai si sono registrati 29 nuovi casi di Covid, come a marzo, quando tutto ebbe inizio e le autorità sono sicure che non aumenteranno. Perché? Non è dato saperlo. La Cina è l’unico paese dove anche il virus obbedisce alle autorità. Va e viene a comando. Il governo aveva annunciato che dall’1 giugno la città avrebbe riaperto e il Covid si è gentilmente adeguato.

“Shanghai è tornata” recita un hashtag celebrativo su Weibo. Non perché l’ondata pandemica sia passata, ma perché lo ha deciso il governo. La popolazione si è adeguata. Il virus pure. Come diceva un funzionario della polizia a un residente di Shanghai che chiedeva perché dovesse andare in quarantena anche se era risultato negativo: «Smettete di chiedere perché. Qui siamo in Cina, non c’è un perché. Dobbiamo obbedire». Oggi i cinesi di Shanghai festeggiano perché l’ordine del Partito comunista ha il sapore della libertà. Nessuno, però, sa quale sarà il prossimo.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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