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Chi è il più jihadista del reame

Gli sceicchi di Riyad che accusano il Qatar di finanziare il terrorismo è la più ipocrita delle gogne internazionali. Se oggi mezzo mondo è minacciato da gruppi islamisti lo dobbiamo ai petrodollari sauditi

Rodolfo Casadei
26/06/2017 - 3:00
Esteri
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – L’Arabia Saudita che rompe i rapporti diplomatici e impone l’embargo contro il Qatar accusandolo di complicità con gruppi terroristici come Al Qaeda, Isis, Hamas e Fratelli Musulmani è il classico caso del bue che dà del cornuto all’asino. È vero che nel corso degli ultimi vent’anni il regno dei Saud è stato oggetto di una sessantina di attacchi attribuibili a Isis e Al Qaeda, ma questo è un po’ il destino di tutti gli apprendisti stregoni che pensano di poter manovrare le forze diaboliche che hanno evocato, e invece restano scottati dai ritorni di fiamma. In Arabia Saudita le organizzazioni citate all’inizio sono classificate come entità terroristiche, è vietato finanziarle con donazioni di denaro e ovviamente combattere per loro, e gli enti caritativi possono inviare risorse all’estero solo sotto la regia del Centro Re Salman per l’aiuto e il soccorso umanitario e della Mezzaluna Rossa. Ma dietro le quinte le cose sembrano andare diversamente.

«Dobbiamo usare i nostri strumenti diplomatici e di intelligence più tradizionali per esercitare pressioni sui governi del Qatar e dell’Arabia Saudita, che stanno fornendo sostegno finanziario e logistico clandestino all’Isis e ad altri gruppi sunniti radicali nella regione». Questo passaggio è contenuto in una email scritta il 27 settembre 2014 da John Podesta a Hillary Clinton che faceva il punto della situazione nell’Iraq settentrionale dopo le grandi offensive che avevano portato l’Isis a conquistare Mosul e gran parte della Piana di Ninive in quell’estate, e rivelata da Wikileaks nell’ottobre scorso. A quel tempo Podesta era consigliere della Casa Bianca per la politica estera e Hillary Clinton non era più segretario di Stato da un anno e mezzo, ma si preparava a concorrere alle presidenziali del 2016, che avrebbero visto proprio Podesta come presidente della sua campagna elettorale.

Per politici e funzionari di Stato americani l’esistenza di rapporti inconfessabili fra l’Arabia Saudita e altri emirati del Golfo e i terroristi jihadisti sunniti non è mai stata un segreto, ma l’hanno reso tale verso l’esterno per ragioni politiche facili da intuire. L’unico che finora non ha saputo trattenersi è stato l’ex vicepresidente John Biden, definito da Foreign Policy «l’unico uomo onesto a Washington», che il 2 ottobre 2014 al John F. Kennedy Jr. Forum di fronte ad alcune centinaia di studenti disse: «I sauditi, gli Emirati, cosa stavano facendo? Erano così decisi ad abbattere il regime di Assad in Siria e a scatenare una guerra per procura fra sunniti e sciiti, che hanno versato centinaia di milioni di dollari e fornito migliaia di tonnellate di armi a chiunque volesse combattere contro Assad; solo che il problema è che i soggetti che hanno beneficiato di questo sono stati Al Nusra e Al Qaeda, e altri jihadisti estremisti provenienti da tutto il mondo».

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Molto istruttivo quello che si legge in un telegramma del Dipartimento di Stato americano del 30 dicembre 2009: «I donatori dell’Arabia Saudita rappresentano la più significativa fonte di finanziamento dei gruppi terroristi sunniti in tutto il mondo. Mentre l’Arabia Saudita come tale prende seriamente la minaccia terroristica all’interno del paese, è stato e resta molto difficile persuadere i dirigenti sauditi a trattare il finanziamento al terrorismo che emana dall’Arabia Saudita come una priorità strategica. (…) Occorre fare di più, dal momento che l’Arabia Saudita rimane una base di supporto finanziario critica per Al Qaeda, i talebani, Lashkar-e-Taiba (terroristi pakistani, ndr) e altri gruppi terroristici inclusa Hamas, che probabilmente riceve milioni di dollari all’anno da fonti saudite».

Il tifo per il califfo
Un altro file Wikileaks ricostruisce un dialogo privato di Hillary Clinton nell’ottobre 2013 a un evento promosso da Goldman Sachs nel quale l’ex segretario di Stato dice: «I sauditi e altri stanno inviando grandi quantità di armi (in Siria, ndr) in modo del tutto indiscriminato e non mirato verso i gruppi che consideriamo i più moderati, quelli con i quali abbiamo meno probabilità di avere problemi in futuro».
In Siria l’Arabia Saudita inizialmente ha appoggiato il Free Syrian Army (Fsa), teoricamente moderato e filo-occidentale. Quando si è resa conto dell’inefficienza e del banditismo endemici all’interno dell’Fsa, ha spostato le sue fiches sul Fronte islamico, una coalizione di gruppi jihadisti salafiti che avevano come programma di trasformare la Siria in una repubblica islamica retta dalla sharia. Fra essi Jaysh al Islam, guidato fino alla morte nel dicembre 2015 da Zahran Alloush, noto per i bombardamenti dei quartieri civili cristiani di Damasco e per essere favorevole alla pulizia etnica di sciiti e alawiti dalla capitale. Successivamente l’Arabia Saudita ha pilotato la formazione di Jaish al Fatah, l’Esercito della conquista, che ha avuto fra le sue file per lunghi periodi anche Jabhat al Nusra (oggi rinominata Tahrir al Sham), cioè la filiale siriana di Al Qaeda, e Ahrar al Sham, un gruppo salafita jihadista da sempre alleato di Jabhat al Nusra e fino alla sua uccisione guidato da un siriano di Al Qaeda intimo di Ayman al Zawahiri. Ahrar al Sham è qualificata come organizzazione terroristica in Egitto, Emirati Arabi Uniti, Russia e Iran.

Secondo il Washington Institute for Near East Policy, lodato e apprezzato sia da Bill Clinton che da George W. Bush, «molti governi della regione a volte finanziano gruppi ostili che possono aiutarli a raggiungere particolari obiettivi. A Riyad hanno fatto molto piacere i recenti successi dei sunniti dell’Isis contro il governo sciita di Baghdad (riferimento ai successi dell’Isis in Iraq nell’estate 2014, ndr) e le vittorie jihadiste in Siria a spese di Bashar el Assad. Tuttavia un finanziamento ufficiale del gruppo da parte di Riyad è precluso dalla percezione che la minaccia terroristica dell’Isis è seria e immediata. Oggi i cittadini sauditi continuano a rappresentare una significativa fonte di finanziamento per i gruppi sunniti che operano in Siria. I donatori arabi del Golfo nel loro insieme (fra i quali quelli sauditi sono considerati i più generosi) hanno indirizzato centinaia di milioni di dollari in Siria negli ultimi anni, anche a vantaggio dell’Isis e di altri gruppi. C’è sostegno per l’Isis in Arabia Saudita, e il gruppo organizza campagne di raccolta fondi mirate all’ambiente saudita, perciò Riyad potrebbe fare di più per limitare i finanziamenti privati».

La minaccia della Fratellanza
La vera ragione dell’odierno assedio al Qatar è, come tutti hanno capito, la benevolenza di quest’ultimo nei confronti dei Fratelli Musulmani, percepiti dalla monarchia saudita come una minaccia esistenziale alla sua legittimità, e della loro gemmazione palestinese, cioè Hamas. L’attuale intransigenza di Riyad nei confronti degli eredi dello sceicco Yassin ha del paradossale. L’Arabia Saudita ha generosamente finanziato Hamas dai giorni della sua fondazione (1987) fino a tutta la seconda Intifada (2000-2005) in funzione anti-Arafat, e ha sempre ricevuto con tutti gli onori il suo fondatore Ahmed Yassin fino alla morte nel 2004. A quell’epoca l’Arabia Saudita copriva almeno il 50 per cento del bilancio di Hamas. A causa delle pressioni occidentali, Riyad ha poi assunto una posizione maggiormente equidistante fra i due contendenti palestinesi, cercando a più riprese di riconciliare Al Fatah e Hamas. Con raccapriccio ha assistito all’avvicinamento fra l’organizzazione e l’Iran, che è diventato nel tempo l’alleato più importante di Hamas. I tentativi di riportare gli islamisti palestinesi nel campo dei regimi arabi sunniti conservatori sono continuati fino al 17 luglio 2015, quando una delegazione guidata dall’allora leader Khaled Mesh’al incontrò re Salman da poco salito al trono alla Mecca. Fallito quel tentativo, Riyad ha adottato la linea dura che ha portato all’embargo contro il Qatar.

Problemi ad accreditarsi come paese intransigente nella lotta al terrorismo l’Arabia Saudita ce li ha anche in Europa. Nel dicembre scorso la Süddeutsche Zeitung e i canali televisivi Ndr e Wdr hanno diffuso estratti di un rapporto confidenziale dei servizi segreti tedeschi (il BfV, Ufficio federale per la protezione della Costituzione, e la Bnd, Agenzia federale di intelligence) che accusa tre fondazioni di finanziare e sostenere il movimento salafita in Germania, che diffonde un islam estremista nel paese e dal quale provengono molti foreign fighter tedeschi partiti a combattere per l’Isis in Siria e Iraq. Le tre fondazioni sarebbero la saudita Lega musulmana mondiale, la qatarina Associazione caritativa Sheikh Eid Bin Mohammad al Thani e la kuwaitiana Società del risveglio dell’eredità islamica. Il deputato socialdemocratico ed esperto di questioni mediorientali Rolf Mützenich ha confermato l’attendibilità delle rivelazioni: «Da tempo abbiamo indizi e prove che i salafiti tedeschi ricevono assistenza con l’approvazione dei governi di Arabia Saudita, Qatar e Kuwait sotto forma di denaro, imam inviati e costruzione di scuole coraniche e moschee». L’ambasciatore saudita in Germania ha reagito dichiarando che la Lega musulmana mondiale non è un ente governativo saudita e che non opera più in Germania dal 2013. Sta di fatto che la Lega ha sede alla Mecca, dove è stata fondata, e come tutti gli enti no profit sauditi deve per legge essere controllata da un principe della famiglia Saud.

Kosovo, una miniera di miliziani
Oggetto di critiche anche la presenza saudita in Kosovo, il paese europeo col più alto numero di jihadisti combattenti in rapporto al numero degli abitanti. Scrive Carol Chosky su Limes: «Nel 2016 l’Unità d’intelligence finanziaria del Kosovo ha chiuso tutte le organizzazioni caritatevoli finanziate dai sauditi che affermavano di aiutare la ricostruzione del paese sostenendo gli orfani e riedificando le moschee. Degli oltre 10 milioni di euro donati all’associazione Waqf al Islami, con sede in Olanda e Arabia Saudita, oltre 1,5 milioni sono stati prelevati senza finalità specifiche e potrebbero aver finanziato le attività di radicalizzazione in Kosovo». Riyad protesta e si proclama innocente, ma prende anche misure preventive per non essere più presa in castagna: alla fine dell’anno scorso ha chiuso l’Accademia Re Fahd, aperta in Germania nel 1994 e da anni denunciata dai media tedeschi come un centro di reclutamento e addestramento degli estremisti.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

Tags: al qaedaamericaarabia sauditaIsismedio orienteqatarterrorismo
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