Tentar (un giudizio) non nuoce

Che fare con la Cina

Di Raffaele Cattaneo
13 Gennaio 2024
Non possiamo ignorare i rapporti con il Dragone, sebbene sia una autocrazia aggressiva. Dobbiamo avere un legame consapevole e tra pari, sia sul piano commerciale ma anche su quello culturale
Cina
Visita di gruppo (con giuramento di fedeltà) al Memoriale del primo congresso comunista cinese aperto a Shanghai in occasione del centenario del Partito, 10 giugno 2021 (foto Ansa)

Il 2024, appena iniziato, sarà, tra le varie ricorrenze, anche l’anno del ventennale del partneriato strategico Italia-Cina. Un’occasione per avviare una riflessione sui rapporti con questo grande colosso dell’economia e sempre più della politica globale. Tutto ciò, dopo che il nostro governo è meritoriamente riuscito a svincolarsi, senza troppi clamori e senza gravi conseguenze, dall’accordo sulla “Belt and road initiative”, la cosiddetta “via della seta”, nel 2019 improvvidamente sottoscritto, primi nel G7, dal ministro Di Maio e dal governo Conte. In quale prospettiva dobbiamo muoverci, dunque, nelle relazioni con un soggetto così importante?

Partiamo da un primo inesorabile dato: certamente non possiamo ignorare i rapporti con la Cina. Può piacerci o no, ma ormai, a livello di interdipendenze tra le economie globali, il rallentamento dell’economia cinese incide e inciderà anche sulla nostra economia e quindi sul nostro quotidiano. Gli ultimi dati ufficiali (del 2022) sull’interscambio commerciale parlano di oltre 74 miliardi di euro (58 di import e 16 di export) tra Italia e Cina, più di 28 dei quali con la sola Lombardia. Oggi, dopo la pandemia da Covid-19, che ricordiamo è cominciata in Cina e ha messo in crisi molti aspetti del colosso asiatico, l’economia non ha più ripreso con la forza e lo slancio precedenti. Se il Pil cresceva a ritmi di oltre il 10% annuo nel 2010, nel 2020 era sceso al 2,2% e nel 2022, post pandemia, salito solo del 3%. Lo stesso per l’interscambio: nei primi 9 mesi del 2023, mentre l’export italiano in Cina è cresciuto del 25%, l’import è crollato del 22%, per oltre 10 miliardi di euro.

La competizione con gli Stati Uniti

Il rallentamento dell’economia avviene in un momento in cui, al contrario, sul piano politico la Cina si esprime con toni e forme di assertività politica e istituzionale raramente riscontrabili in passato. Mai come negli ultimi tempi, tra l’altro, sotto la guida e l’azione di Xi Jinping, il sistema interno ha ridato forza al partito unico e al modello autocratico. Il presidente della Repubblica popolare cinese con la sua lunga permanenza al potere e la sua capacità di governare l’apparato burocratico, politico, militare, così complesso, oggi ha riportato la Cina a un modello di stampo leninista mai più visto in passato dai tempi di Mao. Con questa strategia, ha creato le condizioni per un protagonismo del suo Paese sullo scenario politico in chiara competizione con gli Stati Uniti, cercando di offrire al mondo il modello autocratico come modello di riferimento, politico, sociale ed economico differente e alternativo a quello occidentale.

Oggi, in ogni caso, il dato più significativo è che, a valle della pandemia e della gestione che ne è stata fatta proprio sulla base di questo modello fortemente centralista e disciplinare, che usa le nuove tecnologie in maniera spinta per controllare in modo sistematico i cittadini, per la prima volta l’indebolimento della crescita economica si è fatto evidente.

Che impatti avrà tutto ciò sulla politica? Forse i toni assertivi non cambieranno ma, nei fatti, è difficile pensare che con una economia in rallentamento e una società che ha dato per la prima volta segni di subbuglio, alle autorità cinesi interessi mettere in discussione la stabilità globale. L’incontro tra Xi e Biden tenutosi vicino a San Francisco lo scorso 15 novembre sembra confermare questa volontà di non destabilizzare ulteriormente un mondo già attraversato da guerre e crisi. E la ripresa del Pil cinese nell’ultima parte del 2023 ne certifica la convenienza.

Detto ciò, la Cina ci ha sempre riservato sorprese; quindi, non possiamo escludere che Xi Jinping, o chi verrà dopo di lui, possa, come fece Deng Xiaoping dopo Mao, aprirsi nuovamente al mondo libero o cambiare strategia geopolitica in chiave ancora più aggressiva. L’evoluzione della vicenda di Taiwan sarà la prima spia delle reali intenzioni cinesi.

Il presidente della Cina, Xi Jinping, durante il vertice a San Francisco con Joe BidenAbbiamo molto da offrire

Tutto questo che impatto avrà su di noi? Innanzitutto, l’Italia e la Lombardia non potranno esimersi dal continuare ad avere un rapporto con la Cina. Non possiamo limitarci a temere la loro forza e la loro capacità di utilizzare strumenti tecnologicamente avanzati anche in chiave “antagonista”, facendo come i bambini che chiudono gli occhi per non vedere il pericolo. Con la Cina è necessario un rapporto consapevole e tra pari. Dunque, non possiamo mostrare ingenuità pensando che i rapporti possano essere gestiti in modo superficiale o garibaldino senza subirne le conseguenze.

Il criterio che deve orientarci è quello del reciproco vantaggio. In alcuni ambiti nel rapporto con la Cina noi abbiamo molto da offrire, e dobbiamo esserne consapevoli. Penso ad esempio all’intera filiera del luxury, del mobile e della casa, della moda, dell’agroindustria, del vitivinicolo, tutti beni molto ricercati e apprezzati dai cinesi più influenti. Ma anche a settori meno economici come la collaborazione su temi culturali o educativi perché la Cina riconosce all’Italia un primato culturale che non riconosce ad altri Paesi del mondo. Non a caso Marco Polo (di cui in questi giorni si celebra il 700 anniversario della morte) e Matteo Ricci sono gli unici due europei che anche ufficialmente vengono riconosciuti come personalità di riferimento della società cinese.

Economia e diritti umani

Oggi, probabilmente, il reciproco vantaggio vuole anche dire iniziare a pensare alla possibilità di un trasferimento tecnologico dalla Cina verso il nostro Paese, non più solo dall’Italia alla Cina come avvenuto per decenni, tante volte anche svendendo il nostro know how. Forse stavolta tocca a noi italiani fare un po’ i “cinesi”. Ci sono tanti ambiti in cui la tecnologia cinese, arrivata oggi a livelli impensabili, sposandosi con la creatività italiana, può fornire alle nostre imprese il presupposto per fare un salto di qualità.

La strada per poter aiutare la Cina, che rimarrà comunque uno Stato e un modello politico sociale differente da quelli occidentali, a evolvere verso un rispetto maggiore dei diritti umani e delle regole dello Stato di diritto e della democrazia risiede proprio nella nostra capacità di stringere rapporti economici e commerciali, ma anche culturali e formativi. Come a dire che, attraverso le merci, ma anche la musica o il teatro, può anche nascere un rapporto di contaminazione culturale e sociale capace di mettere in discussione il principio dell’autocrazia nei suoi fondamenti, richiamando cioè ogni persona all’inesauribile grido di libertà e di protagonismo iscritto nel proprio cuore.

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