Cercate Giussani non tra i morti, ma tra i vivi

Di Giancarlo Cesana
22 Febbraio 2019
Nell'anniversario della scomparsa del fondatore di Cl, ripubblichiamo il nostro speciale con Baget Bozzo, Ferrara, Amicone, Formigoni

Il 22 febbraio 2005 moriva a Milano don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e liberazione, un uomo «toccato, anzi ferito, dal desiderio della bellezza», come disse il cardinale Joseph Ratzinger all’omelia del suo funerale in Duomo il 24 febbraio (un giovedì piovoso, grigio canna di fucile, in una chiesa stracolma e un sagrato stracolmo di ciellini e semplici fedeli).

Oggi, ne siamo certi, don Giussani non amerebbe le celebrazioni, men che mai quelle riguardanti la sua persona. Viveva troppo all’arrembaggio per “perdere tempo” in cerimoniosi salamelecchi. Per questo, qui di seguito, riportiamo un articolo che apparve su un numero speciale di Tempi che uscì i giorni successivi la sua scomparsa, in cui erano contenuti i contributi di personalità diverse, ciellini e non (da Gianni Baget Bozzo a Lorenzo Albacete, da Giuliano Ferrara a Roberto Formigoni, al comunista, al carcerato in 41bis, all’ebrea del kibbutz), articoli percorsi da un fattore comune: la gratitudine per essere stati scossi da un ardente carisma. E oggi come allora, proprio come scrisse su quel numero Giancarlo Cesana, «la sua presenza non va cercata fra i morti, ma fra i vivi». (eb)

Chi volesse, cliccando qui sotto può scaricare alcune pagine di quel numero speciale di Tempi.

«La sua presenza non va cercata fra i morti, ma fra i vivi», scrive Cesana

Caro Luigino, rispondo con una lettera alla tua richiesta di scrivere di don Giussani, perché voglio coinvolgerti. Infatti, la prima cosa che dobbiamo dire è che don Giussani ci ha messi insieme. Non sapendo nulla l’uno dell’altro, ci ha messi insieme non per una ragione qualunque, ma per il Destino: per il Destino ha messo insieme a noi tutti quelli che stavano in Duomo e in piazza Duomo, cantando come non si era mai sentito; dicendo Rosari come non si era mai sentito; inginocchiandosi come non si era mai visto, sul pavimento bagnato dal nevischio gelido.
Dicono che la ripresa tv abbia avuto uno share alto: si vede che chi si collegava non riusciva a staccare lo sguardo da un fatto così potentemente e umanamente vero. Questo fatto è don Giussani. La sua presenza non va cercata tra i morti, ma tra i vivi. è stato diffusamente detto che don Giussani è un padre: il padre lo si vede dai figli che danno testimonianza di lui e della sua opera. Cerchiamo di capire in che cosa è consistita la sua paternità.
Cito a memoria: «Le cose vere si ripetono centinaia di volte, senza mai stancarsi», ricordi? Perché le cose vere non sono quelle che si sanno, ma quelle che si desiderano capire. «Se a causa delle tempeste il fiume si sporca, è inutile andar dentro a rompersi la schiena per togliere i tronchi d’albero abbattuti. Bisogna mettere degli argini forti, così che il fiume, andando verso il mare, si pulisca», ricordi? Don Giussani intendeva la paternità così. Sapeva di non essere lui né la forza del fiume, né il mare verso cui il fiume andava. Faceva da argine, nello stesso tempo insormontabile e flessibile. Quanta pazienza ha avuto con noi! «Ho giocato tutto sulla libertà pura», sulla nostra libertà. Non definiva mai, anche se per una parola avrebbe potuto farsi uccidere perché – appunto – non era una parola che chiudeva, ma che apriva, sempre. Gli piaceva la vita, gli piacevano le persone, ne stimava la ragione; ne esaltava l’esperienza, quando essa palesava il segno di Cristo che incessantemente cercava.
Era prete, ma era laico: non c’era nulla di scontato, soprattutto negli atti religiosi. «Cristo tutto in tutti», ricordi? Sapeva vedere il valore dove noi nemmeno lo sognavamo, anche in noi stessi. «Mendicante di Cristo», ci ha invitati ad essere mendicanti come lui: «La moralità è amare la verità più di se stessi». Convinceva noi perché quando parlava, o scriveva, innanzitutto rendeva ragione a se stesso. Per vivere da cristiano, ha fatto un movimento, cioè ha esposto a verifica pubblica la sua fede. Per l’esito imponente della sua vita, diffusamente dicono anche che è santo. Su questo, con un certo prurito di sacrestia, i giornalisti che stazionavano fuori dalla cappella del Sacro Cuore mi chiedevano commenti. Sì, lo sai anche tu: don Giussani è un santo. Come lui stesso ha detto: «Il santo non è un superuomo, il santo è un uomo vero. Il santo è un vero uomo perché aderisce a Dio e quindi all’ideale per cui è stato costruito il suo cuore». 
Ma l’aspetto più interessante della sua santità è che ha invitato anche noi a voler essere santi, ricordi? Ricordi che questo è lo scopo della nostra fraternità, quando ci trovavamo con lui che ci diceva: «è meglio che siate qui, perché altrimenti vi perdereste»? La nostra “fraternità del salvagente”, che ci ha salvati. Così che, con tutta la tristezza che abbiamo nel cuore per la sua mancanza, possiamo continuare a essere contenti. «La vita è triste, ma è meglio che sia triste, perché altrimenti sarebbe disperata», ricordi? Adesso, il tuo impegno a fare il giornale diventa più importante.
Giancarlo Cesana – Tempi, 3 marzo 2005

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