

Il gradimento per il ruolo della Cina nel mondo, positivo ancora una dozzina di anni fa, ha toccato i minimi storici nei paesi occidentali a cominciare dagli Stati Uniti; in Asia e in Africa permane invece un capitale di fiducia nei confronti del Dragone, anche se nel caso del continente nero i sondaggi risalgono a prima del Covid. Lo dice il nuovo rapporto del Pew Research Center (il grande istituto americano esperto in sondaggi d’opinione su scala mondiale), pubblicato il 28 settembre scorso col titolo “How Global Public Opinion of China Has Shifted in the Xi Era”.
Il paese che ha visto il più spettacolare ribaltamento delle opinioni sono gli Stati Uniti: ancora nel 2010 avevano una visione favorevole della Cina 51 americani su 100, mentre 36 ne avevano una visione negativa; quando Xi Jinping è salito al potere nel 2013 il rapporto si era già invertito, e le opinioni ostili erano il 52 per cento contro un 37 per cento di favorevoli; oggi ben l’82 per cento degli americani vede negativamente Pechino, contro un 16 per cento di favorevoli.
In mezzo ci sono stati le rivendicazioni territoriali cinesi nel Mar della Cina, i negoziati per il partenariato trans-pacifico, la guerra commerciale iniziata nel luglio 2018 con l’imposizione incrociata di dazi, la crisi di Hong Kong, le rivelazioni sulle persecuzioni degli uiguri, la pandemia di Covid-19 partita dalla Cina. Solo nel primo anno della presidenza Trump c’era stato un quasi pareggio fra opinioni favorevoli e sfavorevoli, dopodiché in cinque anni i pareri negativi sono aumentati di quasi 40 punti, passando dal 47 all’82 per cento.
Negli altri paesi occidentali le cose non vanno diversamente. In tre di essi (Giappone, Australia e Svezia) i pareri negativi sono addirittura superiori alle percentuali statunitensi (rispettivamente 87, 86 e 83 per cento). Anche in questi paesi, come negli Usa, nel passato più distante (2002 nel caso di Svezia e Giappone) o nel passato recente (2018 nel caso dell’Australia) le opinioni favorevoli alla Cina erano leggermente maggioritarie.
Lo stesso andamento si riscontra in tutti i paesi dell’Unione Europea analizzati dal Pew Research Center, con la parziale eccezione dell’Italia: mentre in tutti gli altri paesi i pareri negativi sono cresciuti dai 20 ai 40 punti percentuali rispetto ai valori precedenti fra il 2002 e il 2021, in Italia le opinioni sono rimaste quasi identiche nel tempo; nel 2002 il 61 per cento degli italiani aveva una visione negativa della Cina e il 27 una favorevole, nel 2021 gli sfavorevoli sono il 64 per cento e i favorevoli il 31.
L’Italia fa eccezione anche in un altro sondaggio, condotto nell’estate del 2020: fra 14 paesi sondati sulla gestione del Covid da parte delle autorità di Pechino fino a quel momento, l’Italia era l’unico dove la maggioranza della popolazione (51 per cento) riteneva che la Cina avesse agito bene. Solo gli spagnoli vedevano la cosa quasi come gli italiani, in tutti gli altri paesi maggioranze più o meno importanti giudicavano negativamente la gestione del Covid da parte delle autorità cinesi. I più severi risultavano essere giapponesi e sudcoreani (79 per cento), seguiti dagli australiani (73 per cento).
Per trovare paesi dove tuttora la Cina gode di buona reputazione presso una maggioranza della popolazione bisogna passare in Asia: sondati nel corso di quest’anno, gli israeliani sfavorevoli alla Cina sono un po’ meno della metà (46 per cento) mentre a Singapore e in Malaysia sono decisamente minoritari: 34 e 39 per cento rispettivamente. I continenti che guardano con più simpatia alla Cina sono l’Africa e l’America Meridionale, ma i dati disponibili risalgono al 2019, cioè prima del Covid. Risultava allora che solo il 35 per cento dei sudafricani, il 25 per cento dei kenyani, il 17 per cento dei nigeriani, il 27 per cento dei brasiliani, il 24 per cento degli argentini e il 21 per cento dei messicani avesse un’opinione negativa della Cina.
Questa dicotomia fra l’Occidente e il resto del mondo si ripresenta addirittura anche in materia di diritti umani. Con l’affermazione che la Cina non rispetta la libertà delle persone sono d’accordo la stragrande maggioranza dei cittadini dei paesi della Ue, con una forchetta che va dall’83 per cento della Francia al 95 per cento della Svezia (Italia: 89 per cento).
Ma in molti paesi asiatici e africani la maggioranza non la pensa affatto così (o almeno non la pensava così nel 2018, ultimo anno per il quale esistono dati): solo il 38 per cento dei filippini, il 33 per cento dei sudafricani, il 27 per cento degli indonesiani, il 21 per cento dei tunisini, il 20 per cento dei kenyani, il 17 per cento dei nigeriani sono d’accordo che la Cina sia un paese che non rispetta la libertà delle persone. Anche in un grande paese europeo, nel 2018, la maggior parte dell’opinione pubblica non credeva a una Cina tirannica: in Russia solo il 20 per cento della popolazione si diceva d’accordo che il governo cinese non rispetta la libertà della gente.
Stessa distonia di fronte all’alternativa fra rafforzare le relazioni economiche con la Cina anche a discapito dei diritti umani, oppure promuovere i diritti umani in Cina, anche se questo potrebbe danneggiare le relazioni economiche. Schiaccianti maggioranze “idealiste” si riscontrano in paesi come Svezia, Regno Unito e Germania (rispettivamente 87, 83 e 78 per cento), un po’ meno schiaccianti in Giappone, Francia e Stati Uniti (rispettivamente 56, 65 e 68 per cento, l’Italia sta a 72); ma in Israele, Singapore, Malaysia e Corea del Sud (che pure è un paese dove le opinioni sfavorevoli alla Cina sono lievitate moltissimo nel corso degli anni e oggi stanno all’80 per cento) vincono le maggioranze “ciniche” che mettono gli affari davanti ai diritti umani (rispettivamente il 57, il 60, il 55 e il 62 per cento degli interpellati dei quattro paesi sopra citati).
Soltanto sulla questione della potenza militare cinese le posizioni tendono a convergere: in tutti e 19 i paesi sondati nella primavera del 2022 la maggioranza della popolazione considera il riarmo cinese una questione piuttosto o molto seria (in Italia il 73 per cento, dei quali il 35 per cento la ritiene piuttosto seria e il 38 per cento molto seria). Quelli più preoccupati sono i vicini della Cina e gli Stati Uniti. Solo il 9 per cento dei giapponesi, il 10 per cento degli australiani, il 12 per cento dei sudcoreani e il 14 per cento degli statunitensi ritiene che la potenza militare cinese non sia un problema, o comunque non sia un problema serio.
Foto Ansa
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Per quanto riguarda l’Italia credo che i mezzi di informazione siano in buona parte responsabili dell’ignoranza sulla realtà politica e sociale cinese. Se almeno la metà delle testate informasse come fa Tempi, l’opinione degli italiani sarebbe diversa. Vengono i brividi al pensiero che perfino il nostro card. Parolin, alla domanda di un giornalista riguardo alla persecuzione subita dai credenti (tutti quelli non sottomessi al Partito) abbia risposto: “…ma quale persecuzione!”