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Pronto il rapporto Onu sulla repressione degli uiguri, Cina all’attacco

Sarebbe la prima volta che un organismo delle Nazioni Unite esprime valutazioni su un argomento che contrappone governo cinese, associazioni internazionali per la difesa dei diritti umani e governi occidentali

Rodolfo Casadei
03/08/2022 - 6:27
Esteri
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Uiguri
Studenti indonesiani protestano davanti all’ambasciata cinese a Giakarta contro la repressione degli Uiguri, lo scorso gennaio (foto Ansa)

Se Michelle Bachelet, Alto Commissario Onu per i diritti umani, e i suoi portavoce manterranno le promesse, è cominciato il conto alla rovescia per la pubblicazione del tormentatissimo rapporto dell’Onu sulla repressione contro gli uiguri e altre minoranze etniche di religione musulmana nello Xinjiang, la più grande di tutte le province della Cina.

Sarebbe la prima volta che un organismo delle Nazioni Unite esprime valutazioni su uno degli argomenti più caldi che contrappongono governo cinese, associazioni internazionali per la difesa dei diritti umani e governi occidentali. Ma la suspence e i dubbi sono d’obbligo, perché la pubblicazione del rapporto è stata più volta rinviata a partire dall’autunno dell’anno scorso per le pressioni del governo cinese sull’Alto Commissario, il quale ha ceduto ogni volta che Pechino ha fatto la faccia feroce.

Pechino cerca di fermare il rapporto

Dopo una criticatissima (da parte delle associazioni per i diritti umani e degli esperti sulla situazione dello Xinjiang) visita ufficiale nella regione del nord-ovest cinese nel maggio scorso, la Bachelet ha annunciato che il più volte rinviato rapporto sarebbe stato pubblicato prima della scadenza del suo mandato come Alto Commissario. Manca davvero poco: il prossimo 31 agosto l’ex presidente cilena conclude il suo quadriennio a capo dell’Ohchr (l’acronimo anglosassone del suo ufficio) e ha dichiarato che non chiederà un rinnovo del mandato «per motivi personali».

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Con l’approssimarsi della scadenza, il governo cinese rinnova gli sforzi per impedire l’uscita del rapporto o almeno per delegittimarne le conclusioni, che con ogni probabilità suoneranno come un atto di accusa contro le politiche adottate da Pechino nella regione. In una lettera aperta ai governi di tutto il mondo del gennaio di due anni fa 51 organizzazioni per la difesa dei diritti umani e studiosi esperti di crimini contro l’umanità denunciavano orrori nello Xinjiang:

«Le atrocità includono la detenzione arbitraria di un numero fra 1 milione e 1 milione e 800 mila persone in campi di internamento, un programma diffuso di indottrinamento politico, sparizioni forzate, distruzione di siti culturali, lavoro forzato, tassi sproporzionati di incarcerazione e campagne e politiche coercitive di prevenzione delle nascite. […] Più di recente, i rapporti hanno documentato le politiche del governo cinese che intendono ridurre i tassi di natalità tra gli uiguri, comprendenti aborti forzati e sterilizzazioni. Nel 2018, l’80 per cento di tutte le inserzioni di dispositivi intrauterini in Cina sono stati eseguite su donne nella regione uigura, nonostante la regione costituisse solo l’1,8 per cento circa della popolazione totale cinese. La separazione forzata di un numero imprecisato di bambini uiguri dai loro genitori è stata documentata anche da gruppi per i diritti umani dal 2018».

La “società civile” cinese contro la pubblicazione

La nuova tattica di Pechino consiste nel chiamare in causa la società civile per protestare contro il rapporto di cui non è ancora noto il testo. Il 26 luglio scorso è stata diffusa una lettera aperta firmata da un migliaio di associazioni cinesi o amiche della Cina e destinata a Michelle Bachelet per invitarla a non pubblicare un rapporto «pieno di bugie». Nella lettera si leggono passaggi come il seguente:

«Notiamo che da tempo certe forze anticinesi, per motivi politici, hanno pubblicamente esortato la sua persona a rilasciare la cosiddetta valutazione sullo Xinjiang, che è contro i fatti oggettivi e confonde giusto e sbagliato. Esprimiamo le nostre serie preoccupazioni al riguardo. È stato riferito che la valutazione è interamente basata su false accuse fabbricate da forze anticinesi e false testimonianze di separatisti anticinesi all’estero, e fa eco alle più grandi bugie del secolo secondo cui siamo di fronte a cosiddetti genocidi, crimini contro l’umanità, lavoro forzato, sterilizzazione forzata, repressione religiosa nello Xinjiang. Tale valutazione è completamente falsa. La valutazione, una volta rilasciata, sarà sicuramente utilizzata da alcuni paesi come strumento politico per interferire negli affari interni della Cina e per contenere lo sviluppo della Cina con il pretesto dei diritti umani. […] Invitiamo lei e l’Ohchr a stare dalla parte giusta della storia e a non rilasciare una valutazione piena di bugie».

Le firme appartengono ad associazioni di tutti i tipi, comprese quelle dei lanciatori di freccette, per il rinverdimento della Grande Muraglia, dei giardini zoologici, l’associazione dietetica di Pechino, l’associazione dei banditori, eccetera. Circa 700 delle entità firmatarie, in gran parte scuole, hanno sede nello Xinjiang. Colpisce la presenza di molte associazioni di amicizia fra la Cina e altri Stati, e di Camere di commercio. Fra esse ben sette associazioni pakistane e quattro russe, ma non mancano i paesi europei come Bielorussia, Bulgaria, Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Ucraina e l’associazione Cina-Unione Europea.

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Quelle email all’Alto Commissario

Altro esempio di questa tattica che chiama in causa la società civile è la notizia, riportata da chinadaily.com il 1° agosto scorso, secondo cui numerosi residenti dello Xinjiang stanno inviando email a Michelle Bachelet per descrivere le loro sofferenze causate dal “terrorismo” e per deplorare le accuse contro il governo cinese. Si legge nell’articolo:

«Determinato a proteggere la vita delle persone, dal 2014 il governo ha intrapreso una serie di misure per combattere e prevenire il terrorismo, inclusa la creazione di centri di istruzione e formazione professionale per aiutare coloro che potrebbero essere influenzati dal terrorismo e dall’estremismo. Da allora tutti i tirocinanti si sono laureati. Una delle ex tirocinanti, Nur Namehat, ha detto nella sua email alla Bachelet che nessuna tirocinante donna era stata aggredita sessualmente mentre si trovava in un centro nella contea di Shufu, nella prefettura di Kashgar. Tali affermazioni sono totalmente inventate dai media occidentali, ha aggiunto. Abdula Umur, che si è laureato in un centro di formazione nella città di Turpan, ha detto che con le competenze informatiche acquisite nel centro ha avviato una società di e-commerce che vende frutta secca. I centri erano solo scuole che offrivano corsi utili, non i cosiddetti campi di internamento rappresentati dalle forze anticinesi, ha scritto nell’email».

Chi si schiera con la Cina

Prima di questa svolta tattica, il governo cinese era impegnato soprattutto a dimostrare che la maggioranza dei governi alle Nazioni Unite sposava le sue tesi anziché quelle dei paesi occidentali ogni volta che questi ultimi sollevavano con dichiarazioni comuni la questione dello Xinjiang. Scriveva il Global Times il 15 giugno scorso:

«Martedì, secondo giorno della 50esima sessione dell’Hrc [la Commissione Onu per i diritti umani, ndt], 47 paesi – costituiti principalmente da paesi europei, Stati Uniti e loro alleati – hanno firmato una dichiarazione congiunta per attaccare la situazione dei diritti umani nelle regioni cinesi di Xinjiang, Tibet e Hong Kong. In risposta, a nome di quasi 70 paesi, un rappresentante di Cuba ha tenuto un discorso congiunto per opporsi all’uso dei diritti umani come scusa per interferire negli affari interni della Cina, affermando che le questioni relative ai diritti umani non dovrebbero essere utilizzate come strumenti politici. Inoltre, più di 20 paesi hanno tenuto discorsi separati all’Hrc per sostenere la Cina, per un totale di quasi 100 paesi che hanno espresso la loro comprensione e sostegno alla posizione della Cina. Simili feroci battaglie incentrate su Xinjiang, Tibet e Hong Kong sono state organizzate più volte all’Hrc dal 2019. Ad esempio, durante la 41esima sessione dell’Hrc nel luglio 2019, più di 50 paesi hanno firmato una lettera per sostenere la governance cinese nella regione dello Xinjiang quando 22 paesi occidentali hanno accusato la Cina per la sua politica nella provincia; nell’ottobre 2021, mentre il Canada ha guidato un’iniziativa di 44 paesi per attaccare la Cina su argomenti relativi allo Xinjiang alla 47esima sessione dell’Hrc, più di 90 paesi hanno sostenuto la posizione della Cina».

Normalmente a schierarsi dalla parte della Cina sono molti paesi africani, asiatici e della sfera di influenza russa. Fra i 70 paesi che si sono esposti in difesa della Cina si trovano anche Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e tutti i paesi della sponda sud del Mediterraneo tranne Israele, cioè Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Palestina, Libano e Siria.

Accademici occidentali accusano la Bachelet

Dopo la visita della Bachelet nello Xinjiang nel maggio scorso e le sue timide dichiarazioni, 39 accademici europei, americani e australiani hanno indirizzato una lettera aperta all’Alto Commissario per i diritti umani accusandola di aver fatto il gioco del governo di Pechino. Eccone alcuni brani:

«È raro che un ambito accademico arrivi al livello di consenso raggiunto dagli specialisti nello studio dello Xinjiang. Sebbene non siamo d’accordo su alcune questioni relative al perché Pechino stia commettendo le sue atrocità nello Xinjiang, siamo unanimi nella nostra comprensione di ciò che lo Stato cinese sta facendo sul campo. […] La fallimentare visita dell’Alto Commissario non solo ha aggravato la crisi dei diritti umani di coloro che vivono sotto il governo cinese, ma ha anche gravemente compromesso l’integrità dell’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani nella promozione e protezione dei diritti umani a livello globale».

Tags: Cinacomunismomichelle bacheletuigurixinjiang
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