l New York Times ha battezzato il caso Parmalat come uno “scandalo cattolico”. Ottima benzina per il fuoco di Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, che il 30 gennaio scorso ha organizzato a Milano il convegno “Per quale autonomia? Fondazioni e banche prossime e venture”, presente il gotha della finanza italiana. «Infatti, come sapete, le Cayman sono isole del lago Maggiore» ha sibilato velenoso nel suo intervento Vittadini. «Altro che problema italiano: qui siamo di fronte ad uno scandalo internazionale. Le banche italiane si stanno esponendo alla scalata dei grandi gruppi finanziari stranieri». Si prospetta un saccheggio che ricorda i tempi delle Signorie: allora «i potenti d’Italia stringevano alleanze con le compagnie di ventura straniere nella speranza di prevalere sugli altri. Oggi c’è la stessa lotta di potere, solo che al posto delle compagnie di ventura ci sono le grandi banche». Sbagliano quelli che giustificano la penetrazione straniera con un’anacronistica fiducia nel «mito per cui il mercato mette a posto tutto da sé»; ma anche quelli che vorrebbero curare le ferite del sistema solo rafforzando gli isitituti di controllo, riaprendo così la stagione del “Risiko bancario”. «Per ricostruire non basta riscrivere le regole per il controllo delle banche, ma occorre ridisegnare i ruoli e i rapporti tra banche, risparmiatori, borsa e imprenditori», di modo che i diversi soggetti non invadano il campo altrui. «I provvedimenti devono essere presi a livello internazionale, in tutte le sedi in cui l’Italia è presente, a partire dal G8», perché un po’ in tutto il mondo la logica del profitto trimestrale porta ad un’invasione di campo generalizzata. La Borsa gonfia i valori dei titoli, sottraendo alle aziende preziose risorse alternative: oltre ai casi Cirio e Parmalat, le parole di Vittadini riportano alla mente la bolla speculativa americana della new economy. Le banche sono ormai veri e propri competitors degli operatori di Borsa, mentre piazzano i famigerati bond ai risparmiatori invece che agli investitori in cerca di “soldi facili”. In questo modo sui clienti delle banche le grandi imprese riversano direttamente i loro spaventosi debiti, accesi per alimentare operazioni che sembrano più stratagemmi da speculatori finanziari che espansioni industriali. Ma l’effetto di questa «orgia speculativa» che più allarma Vittadini è la «separazione tra economia reale e finanza», fenomeno che in Italia si traduce inevitabilmente in un taglio dei rifornimenti alle piccole e medie imprese (Pmi), «il tessuto dell’economia». Ormai, anche per prestiti minimi, gli istituti di credito esigono dalle Pmi bilanci e garanzie talmente inarrivabili da costituire «vere e proprie barriere d’accesso al credito. I numeri confermano questa tendenza: dal 1995 al 2001 gli impieghi in prestiti per le maggiori banche europee sono scesi dal 49,2% al 43,9%». Occorre dunque limitare il crescente accentramento del sistema bancario italiano per «valorizzare quella rete esistente e diffusa di banche locali che ha dietro un’economia reale», quella delle Pmi. Una rete che rappresenta «una storia, un’identità, un patrimonio che non dobbiamo buttare via, altrimenti diventiamo la spazzatura del mercato internazionale», un facile boccone per le grandi cordate finanziarie internazionali. Vittadini ci tiene a sottolineare che è importante che i maggiori gruppi bancari italiani possano puntare a concorrere nel mercato globale, e siano perciò guidate in parte dalla «logica del profitto di breve periodo», ma «allargarsi non vuol dire per forza mettersi nelle mani delle grandi banche internazionali. Io sono un difensore del “possesso misto” delle nostre banche». Di qui l’idea di conservare la presenza delle fondazioni di origine bancaria all’interno degli organi di direzione degli istituti di credito. Le fondazioni nascono dalla libertà sociale e non inseguono il profitto trimestrale, ma lo sviluppo del territorio nel lungo periodo. Esse possono perciò, dall’interno, indirizzare le banche ad avviare politiche che sostengano la crescita del sistema Italia e della sua economia reale.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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