Lettere al direttore
Che cosa vogliamo conservare della cattedrale di Notre Dame?
Grande merito a Tempi per aver introdotto un argomento tabù – il conservatorismo – coinvolgendo menti all’altezza di quello che per ora è uno studio sulla fattibilità. Giovanni Maddalena (e non solo) ha scritto cose affascinanti che ho percepito come fondamentali perché, ridiciamolo, c’è bisogno in Italia di una forza di pensiero, prima ancora che politica, ideale. Se ne sente la mancanza e possiamo contare solo su chi ha la capacità di un progetto, per costruire uno spazio sociale su cui fare affidamento. Se posso fare un paragone: la cattedrale di Notre Dame de Paris. Se c’è chi vuole farne un grande bistrot ci vuole qualcuno che sappia rifare una nuova cattedrale, rifacendosi alla sua storia e alla fede che rappresenta. Se la proprietà è dello Stato francese che insiste sul tradimento artistico-culturale-religioso dell’opera, allora se ne faccia un’altra fedele al suoi significati, anche piccola come la Porziuncola, ma originale. E così dovrebbe essere anche per un somMovimento conservatore e rinnovatore.
Enrico Ventura
La domanda fondamentale, lanciata da Visconti su Tempi e ripresa da Maddalena, che un conservatore si dovrebbe porre è: «Che cosa vogliamo conservare?». Perché è rispetto alla risposta che si dà a questa domanda che si può valutare la bontà di un progetto ed, eventualmente, di un partito. Sul prossimo numero di Tempi (gennaio) l’abbiamo posta a Giorgia Meloni, leader di Fdi, che da un po’ di tempo ha iniziato ad usarla per indicare l’obiettivo della sua azione politica, e lei ci ha risposto: «Essere conservatori significa difendere quello che ami, difendere quello che sei». Invito a leggere l’intervista e poi a farci avere delle valutazioni. Ne riparleremo.
Per quanto riguarda l’esempio di Notre Dame, capisco le sue parole, caro Ventura, ma io fatico ad arrendermi all’idea che, siccome la proprietà è dello Stato, allora può farne ciò che vuole e che, quindi, se la tramuta in bistrot, a noi cattolici conviene costruirne un’altra. Io sarei, innanzitutto, per richiamare il concetto che un vero Stato laico non è uno Stato che impone un generico (e mai neutrale) progetto che possa andare bene a tutti, ma che rispetti la realtà per quello che è. Ergo, se tu trasformi una cattedrale in un parco giochi, non sei più inclusivo e rispettoso, ma sei solo più scemo (cioè non sei laico, ma intollerante). Vale per Notre Dame, ma – se ci pensa – anche per tutto il resto.
Anche in questo caso, bisognerebbe porsi la domanda: «Nella cattedrale di Notre Dame, noi che cosa vogliamo conservare?». In una omelia del 15 giugno, l’allora arcivescovo di Parigi, Michel Aupetit, disse che la chiesa sarebbe diventata un «guscio vuoto» e uno «scrigno senza gioielli» se non fosse stata ricostruita «sulla pietra angolare che è Cristo». Ma questo, dato che stiamo parlando di una cattedrale, lo dovrebbe capire anche un laico. E infatti erano laici, e persino non cattolici come Alain Finkielkraut, gli intellettuali che hanno firmato un appello per fermare una ricostruzione che snaturerebbe Notre Dame.
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