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Caro Renzi, metti fine a questo ventennio di emergenza giudiziaria e antipolitica che ci ha azzerato il Pil

Lettera di Capodanno al Presidente del Consiglio. Idee per mettere a tacere i pifferai delle manette, delle trattative e delle grandi retate, che servono solo a nascondere la vera fonte della corruzione (lo Stato-elefante)

Luigi Amicone
31/12/2014 - 4:00
Politica
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Caro Presidente del Consiglio, lascia stare che sui consumi italiani pende la più pesante spada di Damocle di sempre perché nella nuova Legge di stabilità il tuo governo ha inserito una clausola di salvaguardia sulle imposte indirette e perciò l’Iva potrebbe salire dal 22 al 24 per cento, poi al 25 e al 25,5 nel 2018, mentre quella ridotta del 10 per cento aumenterebbe prima al 12 e poi al 13. Il tutto perché, oltre alle tasse dirette, lo Stato deve rastrellare altri 12,4 miliardi di euro nel 2016, 17,8 miliardi nel 2017 e ben 21,4 miliardi nel 2018.

Lascia stare, caro Presidente, che, come capita da molti anni a questa parte, anche in questo 2014 l’italiano è stato ingozzato come un’oca di “trattative Stato-mafia” e “Mafia Capitale”, di “infiltrazioni mafiose in Expo” e blocco di parecchie grandi opere per comitato ambientalistico e No Tav. Lascia stare che, mentre continua a istruire pratiche di “mani pulite”, lo Stato italiano seguita a portar via agli italiani anche le mani.

Lascia stare che l’Europa se la gode del nostro annoso circo mediatico-giudiziario con cui ci rimproveriamo ogni delitto superiore alla media europea e apparecchiamo leggi che ci impediranno anche di pensare alla maniera della media libertà europea. Lascia stare. A quelli che stanno a Bruxelles non pare vero che il nostro Stato di polizia giudiziaria e di terrore fiscale prosegua e prosegua con loro la manbassa (c’è ancora qualche proprietario di grandi marchi italiani? C’è ancora un pezzo di fattoria italiana in Toscana? Ci sono ancora grosse proprietà immobiliari che non sia state adocchiate dai grandi fondi anglo-americani? C’è ancora qualche grosso incaglio nelle banche che non sia finito in mano a speculatori esteri?).

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Dunque, lascia stare le pezze in cui siamo ridotti. E pensa, caro Presidente, alla favola in cui ci gingilliamo da molti anni. La favola del procuratore della Repubblica e magico pifferaio. Al momento politicamente più opportuno (stai a vedere che salterà anche la miniriforma della giustizia, niente responsabilità civile, il magistrato si riprende i 45 giorni di ferie, i pensionamenti slittano di altri due anni e tante altre belle cariche ai vertici degli uffici giudiziari saranno cotte e servite in consociativo accordo Csm-Anm, eccetera), il procuratore convoca i giornalisti, i quali, come tanti bei topolini incantati non bramano altro che buttarsi nel fiume dell’ennesima Grande Inchiesta. Per annegare il già annegato lettore nella favola ventennale che fa scrivere al New York Times che «in Italia la corruzione si annida in ogni angolo».

Caro Presidente, vede cosa raccontano i sondaggi? I partiti, che in ogni democrazia sono espressione delle forze ideali e rappresentative della società, sono ridotti al ridicolo. Il Parlamento, che in uno Stato di diritto è espressione della sovranità popolare, è meno stimato delle gag di Crozza. E neanche il Presidente della Repubblica, simbolo dell’unità nazionale, se la passa molto bene (ne vedremo delle belle durante l’elezione del dopo Napolitano). Eppure, lei una volta promise di restituire dignità e decisione alla politica. Ma cosa è successo, anche quest’anno, nei fatti ? È successo che nel mondo delle suggestioni indotte dai pifferai tutto il peggio appartiene ancora e sempre alla politica. Mentre nel mondo della realtà, come ha scritto di recente Ernesto Galli Della Loggia, siamo un paese che rischia il fallimento, l’invasione via immigrati, via Troika o via entrambi, perché «dal 1992 la Seconda Repubblica è nata fuori e contro la politica».

E qual è stato, anche quest’anno, il brillante risultato della replica dell’eguale, con l’antipolitica, il populismo, il giustizialismo regnanti con strilla e leggi di giornata? Caro Presidente, «La carica delle tasse di fine anno. A dicembre il Fisco prevede 200 adempimenti». Il titolo del Corriere della Sera di una domenica qualsiasi ricorda qual è il vero problema che insiste sul suolo italiano: il problema di uno Stato fornace di Pil e volano di spesa pubblica.

Ma ciò viene bellamente smarrito nella cronaca ordinaria. E perché viene smarrito? Perché i pifferai della Grande Corruzione e della Grande Mafia (non a caso funzionari dello stesso Stato, indifferenti al Pil, perché con stipendi garantiti ogni 27 del mese) se la suonano e se la cantano. Ma le faccende di latrocinio, mafia e corruzione non sarebbero finalmente cose da sbrigare, come avviene nei paesi normali, con processi rapidi e notizie asciutte? Non sarebbe l’ora abbandonare liturgie e sinfonie di “mani pulite”, questa mania da illusionisti e canzoniere sbirresco, che dalla denuncia e dall’“idealismo” giudiziario sorgano magicamente lo Stato e “l’uomo nuovo”?

Purtroppo così non è. Così non è accaduto. Anche il 2014 se n’è andato in epopea giudiziaria, mentre dall’Ilva di Taranto a tutto il resto del tessuto italiano, non s’è fatto altro che fare debiti, perdere consumi interni, buttare via posti di lavoro. (Tant’è che vien da pensare: vuoi vedere che al servizio di questo gioco a guardie e ladri c’è la corruzione vera, quella che in sede di scrittura dei disegni di legge fa sparire articoli e commi sgraditi ai poteri che si annidano nei palazzi romani? La mafia vera: quella che si gioca i “pentiti” in chiave antipolitica? La cretineria dei parlamentari: quella che, dalla legge Severino in avanti, seguita a votare leggi che alimentano l’industria dei pifferai e rinserrano le manette ai polsi della politica?)

Insomma, da una parte è più che mai viva l’egemonia giudiziaria – non li hai mai esaminati, Presidente, non hai una informazione che non sia legata a doppio spago con le procure e perciò si impedisce di raccontare quel che accade negli unici palazzi rimasti immuni dalle inchieste giornalistiche, per forza che solo i magistrati appaiono “puliti”! –, dall’altra si producono mutazioni del virus antipolitica vieppiù resistenti – avevamo Di Pietro, abbiamo sbroccato fino a regalarci un parlamento con centinaia di ventriloqui di un comico. Insomma, cambiando l’ordine degli addendi la somma non cambia. 1994-2014: la somma di un ventennio di emergenza giudiziaria e antipolitica è il Pil italiano sotto lo zero.

Dunque, compagno Renzi, che vuoi fare? Cosa devi fare se vuoi farci uscire da un ventennio che ha trasferito la produzione, il lavoro, il futuro dell’Italia, in Siberia? Probabilmente devi cominciare col cambiare addendi. Devi cominciare col dire: “Va bene, come ogni supermercato dà per scontato e mette in bilancio quel 5-7 per cento di taccheggi, furti, mancati introiti, mettiamo in bilancio e releghiamo nei colonnini della cronaca nera la retata e messa al gabbio dei magnaccioni di Roma piuttosto che dei colletti bianchi di Milano. Invece, è il furto sistemico delle tasse (siamo al 75 per cento per le imprese!), il furto della sanità e della scuola, del lavoro per i giovani e della previdenza sociale per gli anziani, che voglio perseguire!”.

E lo perseguirai, caro Presidente, solo se finalmente avrai il coraggio e la forza di mettere a dieta lo Stato corrotto. L’addendo che devi cambiare, caro Matteo, è quello di uno stato fondato su “tutte le greppie portano a Roma”.

Come fare questa dieta e come tagliare questa greppia? Tanto per dirne una: prendi l’affossata Commissione Antonini sul federalismo e vota una riforma istituzionale di scomposizione e ricomposizione dell’Italia che bypassi Roma (portiamo la capitale dove vogliamo e facciamo di Roma un’Expo eterna). Punta i piedi in Europa alle logiche usuraie di austerità e conquista alleati all’Italia per esigere solidarietà, investimenti Bce e Eurobond orientati alla crescita. Libera la sanità e l’istruzione dal monopolio statale. E porta gradualmente l’Italia verso un’aliquota fiscale unica, sia per le persone fisiche sia per le imprese. «Pagare meno per pagare tutti, l’evasione diventerebbe priva di senso». Come dice il Salvini che ha rilanciato la Flat Tax e l’Alvin Rabushka, economista di Stanford, che l’ha certificata da consulente di quei 38 paesi nel mondo in cui la Flat Tax è già in vigore. Con questo tipo di fisco il modello della dichiarazione dei redditi si ridurrebbe a un formulario di mezza pagina e dieci righe contate. Mentre con le idee uscite dalla Commissione Antonini, ogni istituzione di governo, locale e nazionale, diventerebbe responsabile dei costi standard in ogni comparto (e se sfora il bilancio, ciascuno ne risponde al proprio elettore). Con la cassa dei contribuenti portata fuori da Roma, è facile che Roma diventi la Disneyland italiana.

Tutto troppo facile e discutibile? Vero, tutto facile e discutibile. Infatti a impedire ogni vera riforma e ogni vera discussione sulle riforme, ogni reale impegno per la giustizia e ogni reale lotta alla corruzione, c’è questo Stato, i suoi pifferai e il codazzo di topolini che per non cambiare nulla portano i cittadini inebetiti sempre allo stesso fiume di scandali, indignazioni, leggi emergenziali, demagogie e populismi da bar sport.

Speranze? Tante. Si sta avvicinando il momento in cui quando tutto diventa insopportabile, non si sopporta più. Per questo, ne siamo certi caro Matteo, quando ti accorgerai che hanno legato i polsi anche a te e che gli annunci non bastano più, ci porterai alle elezioni all’insegna del “tutto il potere a noi o alla Troika”. E chissà, magari tutto questo succederà già nella primavera del 2015.

@LuigiAmicone

Tags: Antipoliticaaumento ivaCorriere della SeracorruzioneEuropaexpoFederalismofiscoflat taxIlva Tarantoivalegge di stabilitàLuigi AmiconemafiaMafia capitaleMatteo RenziMatteo Salvininew york timesriforma della giustiziaspesa pubblicatrattativa Stato-MafiatroikaUnione Europea
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