Caro Freccero, la bellezza è donata, non insensata (come il risotto della mamma)
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Prima, durante e dopo il funerale glorioso di Gianni Boncompagni c’è stato un coro universale intonato dagli intellettuali del vostro paese. Il pensiero da loro espresso somigliava – salvo quello di Renzo Arbore – al funerale. Un vuoto inghirlandato, coi bigodini fucsia, molto compiaciuto di sé. Un gioioso, appena appena malinconico perché fa più cultura, omaggio al nulla. Boris è rimasto colpito specialmente da quanto detto e scritto da uno degli uomini più acuti e seri della fiction intellettuale e filosofica che è perennemente in onda in Italia: Carlo Freccero. Il suo testo principale è apparso sul Fatto del 19 aprile. Egli sostiene che Boncompagni è il cultore perfetto della bellezza, il suo rabdomante sfaticato e perciò ideale. Scrive Freccero: «La bellezza è tale perché inconsapevole, insensata, priva di contenuti e di significati. Galleggia sulle nostre vite perché leggera e disancorata da qualsiasi legame reale. È naturalmente stupida e proprio per questo gradevole. La vita è un vuoto. La bellezza la rende accettabile, ma la bellezza è a sua volta un vuoto».
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Freccero parla della bellezza – lui che è stato seminarista – della liturgia: una danza ordinata, leggiadra sul vuoto. Questo è il pensiero assoluto, quello dominante oggi. Era lo stesso di Eco nel Nome della rosa. Sopravvive il riso, non nel senso del cereale da cucinare con lo zafferano o le rane. Neanche il risotto è reale, e questa cosa mi disturba alquanto, e mi ha destato una ribellione contadina e operaia. Non era reale il risotto che mi preparava la mamma quando ero piccino, con tutto il suo amore, e allora se non è reale il risotto, non lo è nemmeno l’amore, è tutta una finzione, da cui distrarsi immergendo lo sguardo nel roseo ondeggiare di adolescenti dal seno acerbo.
Ecco questo è il nostro mondo. Se c’è il nulla, ed esso annienta, cioè ingoia in sé tutto, anche la bellezza, perché mai i grillini che adorano Freccero, perfettamente ricambiati, si ostinano a gridare “onestà-onestà”? Neanch’essa esiste, al massimo è una convenzione senza peso reale, tale e quale la bellezza, insensata pure lei. Non credo che possa esistere una dichiarazione tanto falsa e insieme tanto sincera quanto quella espressa da Freccero. Il reale è il nulla. La bellezza è il nulla che riempie il nulla. Non esiste la verità se non del nulla. In questo senso in fondo Freccero è il vero perfetto intellettuale organico del sentimento popolare che ormai divora le leggi sul biotestamento, il renzismo, l’antirenzismo, il grillismo, l’antigrillismo. La legge sulla libertà di morte, la voluttà con cui si celebra il possesso del proprio corpo pur sapendo che è un niente, e ritenendolo privo di senso, è tutto dentro questa baraonda caotica da cui emerge questa “bellezza inconsapevole di sé”.
Il nulla annientato da una luce
Qui mi permetto un’obiezione filosofica. Ehi, amico, tu non puoi leggere nel fondo della coscienza di nessuno, neppure della bellezza. Che cosa ne sai che essa sia inconsapevole di sé? Chi sei tu per giudicare la bellezza? Sondarne la profondità o se vuoi la leggerezza? Il fatto che essa accada imprevedibilmente non significa che essa sia ottusa. Tutte le novità accadono e accadono fuori dal circuito prevedibile dei nostri pensieri. La bellezza è donata, non insensata.
Boris, come è noto ai quattro lettori di questa rubrica, è un russo. Non esiste genio russo che non abbia guardato la bellezza riconoscendola come un miracolo, come la bontà. Il gesto di una bambina che chiude gli occhi a un vecchio per non lasciare che veda l’orrore – come documentato da testimonianze dei lager nazisti – è insieme bontà e bellezza. Insensatezza non rispetto alla realtà, ma rispetto al nulla. Perché solo il nulla, solo una disperazione così forte da essersi anestetizzata da sola, può guardare la bellezza serenamente, senza esserne ferito, senza essere indotto a cercarne la fonte.
Boris ha spesso trattato con dileggio Eugenio Scalfari e la sua dichiarata fascinazione per papa Francesco. Mi rendo conto, alla luce vuota di Freccero, di aver sbagliato: il suo è un modo per rinunciare alla certezza del nulla. Mi ricorda Leonardo Sciascia quando in tarda età dichiarò a Vittorio Messori che non rinunciava alla “speranza di non morire”, di vedere cioè questo nulla annientato da una luce, da un amore.
Foto Ansa
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