Miss America è più impegnativa della pace nel mondo

Di Caterina Giojelli
22 Dicembre 2019
Non basta essere Venere, bisogna essere degne della rivoluzione culturale. Quindi intelligenti, possibilmente nere, preferibilmente laureate, capaci di riparare le ingiustizie sociali. E coronare di stereotipi la "bellezza interiore"

Peggio del sessismo c’è solo la gnoccofobia. Ditelo alle belle bambine, nella rutilante era degli antistereotipi ora per aspirare al ruolo di reginetta ci vuole una laurea. Meglio, due lauree, meglio ancora, un dottorato, e un personalino impegnato nella causa collettiva. Prendete Camille Schrier, acclamatissima nuova Miss America 2020: a 24 anni è una scienziata
laureata in biochimica e biologia, sta conseguendo il dottorato in farmacia alla Virginia Commonwealth University e sogna di «distruggere gli stereotipi».

DAL BIKINI AL CAMICE DA LABORATORIO

Per farlo si è presentata qualche giorno fa davanti alla giuria di Uncasville, nel Connecticut, indossando un camice da laboratorio e, armeggiando con provette, ampolle e formule chimiche, ha eseguito una decomposizione catalitica del perossido di idrogeno dal vivo. Poche ore dopo aver tolto la mascherina di sicurezza con visiera paraschizzi, indossava la sua bella coroncina di Miss America e si portava a casa un mazzo di rose bianche e una borsa di studio da 50 mila dollari da destinare ai suoi studi universitari.

L’EVOLUZIONE DI MISS LINKEDIN

Secondo la giuria l’incoronazione di Camille Schrier è cosa buona, giusta e dovuta perché il titolo di Miss America «deve educare», e lo è anche per la vincitrice felice perché il concorso ha finalmente premiato «i risultati ottenuti dalle donne» e non «le apparenze». Che tradotto suona un po’ come: o siete Miss Linkedin o non siete nessuno. E non dite che non ci avevano avvisato. Tutto ha avuto inizio nel 2018 quando Gretchen Carlson, l’ex miss tornata alla ribalta nel 2016 per aver denunciato il potente ceo di Fox News Roger Ailes per molestie sessuali, assurta a boss del concorso, aveva decretato: le aspiranti miss America non avrebbero mai più sfilato in bikini, anzi, non avrebbero mai più sfilato perché Miss America non è «una sfilata» ma «una competizione», e non sarebbero mai più state elette «in base all’aspetto fisico». Con queste premesse c’è da chiedersi come si è sentita la cantante d’opera Nia Imani Franklin dopo essere stata incoronata ad Atlantic City e, va da sé, essere finita in tutte le gallery dei media dedicate alle reginette del 2019: “Da Miss Mondo a Miss Universo, le vincitrici del 2019 sono nere”.

IL DISCORSO SULL’EPIDEMIA DI OPPIACEI

Se già l’anno scorso ci eravamo dunque rassegnati a dire addio alle strabelle e alla pace nel mondo per salutare le nuove belle dentro, il format modello test Invalsi e la promozione Erasmus di Miss America, quest’anno la vicenda si fa ancora più impegnativa: «Ogni giorno più di 130 americani muoiono per overdose da oppiacei. Il marito di un’amica è diventato dipendente dagli oppiacei dopo un incidente in moto, ed è caduto in una spirale di violenza domestica e rovina finanziaria fino alla sua morte, 12 settimane fa», inizia così il discorso tenuto in finale dalla dottoressa Schrier. Che non somiglia certo a Margherita Hack o Rita Levi-Montalcini ma non ha nulla da invidiare alle altre eroine di Storie della Buonanotte per bambine ribelli: dopo aver annunciato che viaggerà per il paese per educare milioni di persone alla consapevolezza e prevenzione degli abusi da oppiacei, ha dedicato la sua vittoria a tutte «le bambine che vogliono diventare scienziate e le donne che pensano di non potere partecipare a Miss America perché prive di “talento”, «tutte abbiamo un talento, trovate il vostro!».

QUANTO È BULLA LA BELLEZZA INTERIORE

Qualcuno liberi le belle donne dalle donne impegnate e dal riscatto democratico della bellezza interiore, nuovo stereotipo antistereotipi: ancora ci chiediamo se non stiamo assistendo a una reificazione ancora più subdola della donna, a un discrimine fondato sull’essere degne della «rivoluzione culturale» eternamente promessa da Miss America. Barra Grant, autrice di Miss America’s Ugly Daughter: Bess Myerson & Me, ha raccontato sul New York Times di quando sua madre Bess Myerson venne incoronata Miss America, prima e unica ebrea nella storia del concorso: era l’8 settembre 1945. La coroncina elargita come bandiera issata dopo la sconfitta dei nazisti non rese affatto facile la vita della miss, che dovette fare i conti con un paese che se da un lato si ripuliva la faccia scegliendo una ebrea come rappresentante della bellezza americana, dall’altro non aveva nessuna intenzione di associarle promozione o sponsorizzazione di prodotti. Stessa sorte per la prima miss America di colore, Vanessa Williams, eletta nel 1983, o Nina Davuluri, prima donna indoamericana incoronata nel 2013 e ribattezzata «terrorista» sui social, «avete già dimenticato l’11 settembre?».

«SIATE LA MISS NIGERIA DELLE VOSTRE AMICHE»

Ora: si capisce che anche Miss America 2.0 (sic) in ossequio all’infinita ondata del #metoo voglia recepire istanze che con la bellezza c’entrano poco o nulla: via la parola “concorrenti”, largo alle “candidate”, via perfino la parola “bellezza” e largo a “leadership”, “talento”, “capacità”, “intelligenza”. Ma a che pro sostituire alle dimensioni di busto, vita e fianchi quelle del Qi quando il meccanismo è sempre lo stesso, riparare le ingiustizie storiche con una coroncina tra i capelli, proiettare sul corpo della donna l’agendina valoriale del XXI secolo? Ha fatto il giro del mondo la «gioia incontenibile» della reginetta che arriva seconda e abbraccia la rivale a Miss Mondo 2019: il titolo se l’è aggiudicato miss Giamaica aspirante medico, ma lei, miss Nigeria di professione modella che saltellava sul palco festeggiando l’amica è già diventata la “vincitrice morale” dell’universo: «Nel 2020 quando un vostro amico o un’amica comincerà una nuova attività o avrà successo per qualcosa che è anche la vostra passione, siate la sua Miss Nigeria», recitano le cartoline diffuse sui social sulla ragazza capace di celebrare «quest’Africa orgogliosa e consapevole che esce dai confini e dai cliché».

LE MISS STRAIMPEGNATE, IL PUBBLICO UN PO’ MENO

Ricapitolando: per essere una donna degna di essere una Miss oggi bisogna essere belle dentro, brave, educative, possibilmente nere, preferibilmente laureate, sicuramente impegnate, consapevoli, altruiste senza confini, incarnare la correzione politicamente corretta di tutti i mali del passato. Roba da far sembrare la pace nel mondo una bazzecola alla portata di quell’utente che non avendo un master in liberazione dai cliché e distruzione degli stereotipi, all’incoronazione della dottoressa Schrier ha commentato: «Preferivo Miss Georgia. Mi piacciono di più i capelli corti».

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