Boris è “tornatu”, e ride delle fissazioni woke di algoritmo e piattaforme
Quanto ci era mancata in questi dodici anni Boris, la serie tv che ironizzava con geniale intelligenza sul mondo provinciale delle serie tv all’italiana, e che ha influenzato il linguaggio di tanti, in Italia, anche se non ne avevano mai visto una puntata: l’attrice cagna maledetta, l’attore di serie B che si sente un divo, il produttore indebitato, il capo della fotografia cocainomane, le scene girate “a cazzo di cane”, il tecnico delle luci sfaticato che bullizza il sottoposto e lo stagista, il comico che fa sempre la stessa battuta sul bucio di culo, gli autori che quando non sanno cosa scrivere premono F4 sul computer per dire che l’attore in scena deve fare l’espressione “basita”, il regista che urla “smarmella”, “genio!” e “dai dai dai”, l’attore pazzo interpretato da un grandioso Corrado Guzzanti.
Alert: qualche spoiler su “Boris 4”
Tre stagioni di culto che facevano a pezzi tic, fissazioni, gusti e idee della serialità televisiva a fine anni Zero. Adesso che è cambiato tutto servivano di nuovo loro per dirci che non è quasi cambiato niente: Boris 4, orfana della penna di uno dei suoi padri, Mattia Torre, che pure in qualche modo c’è, è uscita su Disney Plus pochi giorni fa e – per arrivare subito al punto di questo articolo, che un po’ di spoiler lo farà – è da vedere.
Se dodici anni fa a dettare legge su trama e intreccio c’erano i telespettatori anziani della tv generalista, il politico potente, il potente direttore di rete, il dottor Cane, oggi, nell’era delle piattaforme, è l’algoritmo a decidere tutto. «Ma nun ce se po’ parlà co’ st’algoritmo?», chiede Corinna, l’attrice cagna che si è sposata con Stanis La Rochelle, l’attore mediocre che disprezza tutto ciò che è troppo italiano e pensa che «i toscani hanno rovinato questo paese».
«L’inferno è pieno di quarte stagioni»
La troupe de “Gli occhi del cuore”, la serie che il regista René Ferretti (un sempre strepitoso Francesco Pannofino) girava nelle prime tre stagioni di Boris, decidere di fare una “Vita di Gesù” a puntate, ma ha il problema di convincere La Piattaforma a produrla e poi trasmetterla. Non fatevi ingannare dalla prima puntata, che parte così così con un improbabile cameo di Walter Veltroni e i protagonisti che appaiono un po’ le macchiette dei loro personaggi di un tempo. Subito dopo Boris 4 vola, senza battute riciclate, con pochi ma azzeccati riferimenti al passato, personaggi che non hanno perso il ritmo, pochissime concessioni alla nostalgia e con la consapevolezza che «l’inferno è pieno di quarte stagioni».
L’algoritmo che deve decidere se la Vita di Gesù finirà in streaming è il nuovo tiranno, e la Piattaforma pretende che la storia abbia «i personaggi a norma», come canta Elio nella sigla di ogni puntata, e che tutto – dal copione agli attori ai membri della troupe – sia inclusivo, multiculturale, antirazzista, aperto alla diversity, insomma politicamente corretto. Per funzionare una serie deve raccontare il ghost del protagonista, avere una storia d’amore teen al suo interno, rappresentare personaggi di tutte le razze, dare spazio alle minoranze sessuali. Lo ricorda in continuazione la responsabile della Piattaforma, un’americana che si collega in videoconferenza mentre fa ginnastica, viaggia o è sul set di un film che racconta la storia d’amore omosessuale tra due soldati nella giungla – una storia «amazing!».
Il trauma infantile di Gesù e San Marco cinese in “Boris 4”
E allora ecco che per raccontare la storia di Gesù bisogna cercargli un trauma infantile – la strage degli innocenti, coi sensi di colpa di Giuseppe che ricadranno su di lui – inventare una sua amicizia adolescenziale con Giuda, anche lui innamorato della giovane Maddalena, che sfocia poi nella lotta armata consapevole contro il sistema; bisogna girare una scena in cui Maria, Maddalena e la zia di Giuda discutono del ruolo della donna nella Palestina degli anni 30, inserire almeno un apostolo nero e uno cinese, essere sicuri che nella troupe ci sia almeno una minoranza sessuale rappresentata («Ce l’ho! Conosco un macchinista necrofilo… può andare?»).
Più si accontenta l’algoritmo, più la piattaforma si convincerà a investire. Ma si può aggirare l’algoritmo? Si può fare qualcosa per non essere solo uno dei tanti prodotti che la Piattaforma consiglierà ai suoi abbonati? Boris 4 è una presa in giro perfetta e mai bacchettona delle nuove fissazioni del cinema woke, lezioni sul linguaggio inclusivo alla troupe comprese (se sul set qualcuno si identifica come omosessuale, trans o asessuale non si usano le desinenze femminili e maschili, si mette la -u alla fine, e guai a dire “a bella!”). Non è solo questo, anzi, ma la finiamo qua con gli spoiler.
«E poi questa vita di Gesù come la stiamo facendo… è un po’ tanto una minchiata. San Marco cinese, San Tommaso nero… Giuda ricchione, Gesù contro la famiglia… Ma che minchia di storia è questa?», chiede il poco raccomandabile zio Michele a Lopez, il produttore, che gli ha chiesto un aiuto economico. «E’ il futuro, Michè!». «Fa schifo sto futuro. Io ci sparo a sto futuro».
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