La preghiera del mattino
Auto elettriche, una transizione fondata su un atto di fede
Su Formiche Marta Dassù dice: «Da parte di Giorgia Meloni non c’è mai stata alcuna incertezza, già da quando votava i decreti sulle forniture militari mentre era all’opposizione del governo Draghi. Le parole di distinguo in parte della sua maggioranza sono un fattore di disturbo, interno e internazionale; ma al dunque, tutti i partiti oggi al governo hanno sempre votato insieme a Fratelli d’Italia. Il problema che spesso ha l’Italia, di essere percepita come un ventre molle del fronte occidentale, viene insomma bilanciato dalla convinzione del presidente del Consiglio, che mi sembra radicata, convinta e forte. Nonostante questo la Russia prova regolarmente a inserirsi dove può: non è un caso che Putin, nel suo discorso alla Duma, abbia ha ricordato i “gesti amichevoli” nei nostri confronti, riferendosi a quella specie di missione para-militare – più che medica – che ha svolto nel nostro paese durante la pandemia».
Ecco un’analisi sul ruolo dell’Italia oggi, proposta da una esperta di politica estera sicuramente non meloniana, ma altrettanto sicuramente preparata e onesta intellettualmente.
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Su Affaritaliani si scrive: «“Questo governo e, anche e soprattutto, questo ministro, è profondamente convinto che, soprattutto dopo gli scandali emersi a suo tempo nel cosiddetto affare Palamara, vi sia la necessità di una profonda revisione dell’ordinamento giudiziario”, ha spiegato, ricordando che “l’ufficio legislativo del ministero ha avviato l’elaborazione della programmazione delle attività normative per attuare questi impegni, tra i quali rientrano quelli della legge delegata nel più breve tempo possibile, tenuto conto della complessità della materia, entro il termine di giugno. È un termine che noi speriamo di poter rispettare ma, trattandosi di materia estremamente complessa, potrebbe essere necessaria qualche settimana in più. In ogni caso questa è una nostra priorità”, ha assicurato Nordio».
Un po’ di ministri e sottosegretari dovrebbero imparare da Carlo Nordio come parla un ministro che rappresenta lo Stato e non si considera un partecipante a un talk show. Poi, però, lo stesso Nordio dovrebbe far seguire (e magari talvolta a precedere) le sue articolate e serie prese di posizione da precisi provvedimenti. Speriamo che possa farlo per giugno, comunque è indispensabile presentare proposte precise entro il 2023.
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Su First online Claudio Petruccioli scrive: «Dalle tabelle si ricava che: “FI e Lega hanno evitato la minaccia di essere cannibalizzati da Fdi, come non pochi avevano invece pronosticato; sia nel Lazio che in Lombardia hanno portato alle urne una percentuale di elettori del 25 settembre più alta di quella toccata dall’alleato maggiore. In Lombardia la Lega, con i voti della lista Fontana raggiunge il 97,2 per cento sfiorando l’en plein; risulta così il maggior artefice del successo della coalizione. In voti assoluti, il distacco da Fdi che a settembre era intorno ai 750.000 voti, si è ridotto a 75.000 circa. Il significato è chiaro: l’elettorato di destra, con tutte le sue diversificazioni, si muove molto ma sempre all’interno del proprio recinto; nella scelta della lista attribuisce giustamente grande importanza alla leadership perché ha come obiettivo la conquista del governo. La prevalenza dell’uno o dell’altro socio della coalizione dipende di volta in volta dalla capacità di ciascuno di mettere in campo la leadership più credibile per il raggiungimento dell’obiettivo; la durata stessa del primato dipende dal consolidarsi o meno della leadership».
L’analisi di Petruccioli mette in luce come si sia formato un blocco politico-sociale-culturale a destra che in parte prescinde dai partiti che lo rappresentano e che ha resistito alla complessa e articolata strategia tesa a emarginarlo o a farlo esplodere. A questa tendenza all’aggregazione a destra, poi, ne corrisponde una parallela di disarticolazione di quella che erano le solide radici della sinistra nella nostra società. Perché si è determinata questa situazione? Perché a destra, anche nella forma non proprio raffinata del berlusconismo, si è cercato di parlare a un popolo, mentre a sinistra ci si è affidati all’establishment per salvare le proprie rendite di posizione personali o di gruppo.
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Sul Sussidiario Alessandro Mangia dice: «Non a caso parlavo poco fa di limitazioni o comportamenti insensati. A parte i riferimenti ai numeri, che secondo me lasciano sempre il tempo che trovano, ci troviamo di fronte ad atti di programmazione industriale di lungo o lunghissimo periodo – il 2030 per le abitazioni, il 2035 per l’automotive – fondati su atti di fede. Date propagandistiche, apparentemente irrevocabili, ma destinate a produrre effetti irreversibili. Quale casa automobilistica investirà più in progettazione e sviluppo in un quadro normativo del genere? E quali saranno le conseguenze di affidarsi ad una tecnologia – quella del motore elettrico – di cui in Europa non c’è né il know-how, né le materie prime, visto che sono entrambi in mano cinese? E quali saranno le conseguenze della ristrutturazione forzata, e a tappe serrate, degli immobili, che produrrà aumenti dei materiali a confronto dei quali quelli generati dal 110 per cento saranno nulla?».
Persino Romano Prodi, probabilmente mosso da una delle tante spinte lobbistiche che solitamente lo orientano, si è accorto che lo sposarsi di un ideologismo ecologico (ben diverso da una realistica politica per l’ambiente) alla burocrazia bruxellese sta creando dei mostri. Quelli che appunto ci spiega Mangia.
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