Auto elettriche. «L’Ue compie un suicidio civile, politico ed economico»
La direttiva dell’Unione Europea sulle auto elettriche «è un suicidio civile, politico ed economico». Così Paolo Bricco, inviato del Sole 24 Ore, commenta a Tempi l’addio approvato in via definitiva dall’Ue ai veicoli a motore endotermico a partire dal 2035. Una misura che creerà molti problemi all’Italia: «Il nostro paese può rispondere a qualunque sfida, ma bisogna partire dalla consapevolezza di essere molto indietro rispetto a Francia e Germania».
Perché parla di “suicidio”?
La cultura dell’auto fa parte della civiltà occidentale, soprattutto americana ed europea. A partire dagli anni Settanta l’industria tedesca si è specializzata nei motori a gasolio e anche l’Italia ha dato un contributo rilevante, ad esempio con la tecnologia del common rail. Puntare solo sulle auto elettriche significa cedere la nostra sovranità tecnologica e rinunciare scientemente a ciò che l’Europa ha costruito negli ultimi 60 anni di storia.
Rinunciando ai motori endotermici l’Europa rinuncia a se stessa?
In un certo senso sì. I fenomeni economici hanno sempre una significativa dimensione culturale, politica e civile. L’industria è un elemento identitario molto forte di qualunque paese e rinunciare alla propria autonomia, decidendo di vincolarsi a un’altra tecnologia di cui altri hanno il monopolio, è una scelta che ha effetti di natura sistemica e di lungo periodo.
Chi sono questi “altri”?
Mi riferisco ovviamente alla Cina, che controlla in buona parte del mondo le catene di approvvigionamento delle materie prime indispensabili al business delle auto elettriche. Con questa direttiva l’Unione Europea crea un legame di dipendenza assoluta dalla Cina.
Il Partito popolare europeo, ma non solo, ha più volte sottolineato questo rischio, al pari dei pericoli industriali e occupazionali di questa direttiva. Ma la Commissione europea li ha ignorati. Com’è possibile?
Le classi dirigenti politiche, sia nazionali che comunitarie, fanno sempre più fatica a cogliere le istanze dei sistemi industriali. È un problema di tutti i politici, sia di destra che di sinistra: non riescono a cogliere la complessità dei problemi industriali e ci sono ragioni storiche.
Quali?
Dagli anni Settanta è iniziata una tendenza, che ha coinvolto anche l’Europa, che mira a deindustrializzare e a terziarizzare il continente. Per i parlamentari, dunque, è più semplice capire le istanze dei rider che quelle dell’industria, che ha perso peso negli equilibri sociali. C’è poi un problema serio di complessità quando parliamo di auto elettriche.
La Commissione europea la fa semplice invece: le auto elettriche inquinano meno.
L’impatto ambientale dei motori a diesel e benzina è maggiore allo scarico, ma l’impatto del motore elettrico va valutato anche a monte e a valle. Bisogna cioè prendere in considerazione anche l’impatto della fabbricazione delle batterie e del loro smaltimento. Non è così semplice.
L’Unione Europea è influenzata dalle istanze ambientali sempre più forti nella società?
Sicuramente. Queste sono giuste, spetta però alle classi dirigenti partire da quelle istanze e sottoporle allo scrutinio della razionalità. Non si possono accogliere in maniera cieca e acritica, senza pensare agli effetti sull’ambiente della tecnologia che si vuole adottare. Altrimenti l’ecologismo diventa radicale, quasi una pseudo-religione. Perché ignorare che i diesel Euro 6 inquinano pochissimo e che sono stati fatti grandi passi avanti nel tempo sotto questo aspetto? Se passare alle auto elettriche ha più svantaggi che vantaggi dal punto di vista industriale e geopolitico, e per di più non è neanche certo che aiuti particolarmente l’ambiente, dobbiamo chiederci che senso ha.
Ormai la transizione è definita. Secondo alcuni studi lungo la filiera dell’automotive si perderanno centinaia di migliaia di posti di lavoro. Che cosa ne pensa?
Non sono in grado di fare previsioni. Una transizione tecnologica così radicale può essere portata avanti solo con il doppio apporto della mano pubblica e di quella privata. Per quanto riguarda il pubblico – e quindi sussidi, incentivi e via dicendo – è evidente che l’Italia ha meno risorse rispetto a Francia e Germania. E di questo dobbiamo essere consapevoli.
E dal punto di vista dei privati?
Mi pare evidente che i grandi investimenti tecnologici nell’elettrico sono stati compiuti dall’industria tedesca e in parte da quella francese, mentre noi da circa vent’anni non abbiamo più un produttore nazionale. È dagli anni Novanta che la Fiat non investe: è un problema strutturale con il quale dovremo fare i conti. La verità è che siamo indietro e che abbiamo risorse limitate rispetto a Parigi e Berlino. Detto questo l’Italia può rispondere a qualsiasi sfida, ma non possiamo farci illusioni.
Foto Ansa
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!