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Argentina, cosa ci dice dell’aborto il caso del medico incriminato per aver salvato madre e figlio

Leandro Rodríguez Lastra potrà tornare a fare il ginecologo. Era finito alla sbarra per aver salvato la vita a una giovane (e al suo bambino) che era stata stuprata. Gli attivisti le avevano somministrato un abortivo al quinto mese di gravidanza

Caterina Giojelli
26/02/2021 - 1:30
Esteri
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Potrà tornare a fare il medico: il ministero della Salute di Entre Ríos (Argentina) ha autorizzato il ginecologo Leandro Rodríguez Lastra a tornare ad esercitare la sua professione privatamente, annullando la condanna inflitta dal tribunale di Rio Negro pari a un anno e due mesi di reclusione (con sospensione della pena), e due anni e quattro mesi di interdizione della professione. Una condanna in difesa della quale si erano mobilitati oltre 90 organizzazioni, funzionari e giornalisti pro choice protagonisti del boato di grida, canti, balli, slogan e una marea di fazzoletti verdi agitati a dicembre quando l’Argentina ha approvato la legalizzazione dell’aborto: «Non rispettare un diritto è un crimine», gridano oggi; il ripristino dell’iscrizione all’albo dei medici del ginecologo «mette a repentaglio e mina i diritti di tutte le donne e le gestanti di Entre Ríos».

Di quale orrendo crimine si è macchiato Leandro Rodríguez Lastra, perché è stato radiato dagli ospedali pubblici e perché tutte le gestanti della provincia argentina si trovano in pericolo? Perché nel 2017 Leandro Rodríguez Lastra ha salvato la vita di una ragazza e di suo figlio. E perché secondo una famosa pasionaria dell’aborto, la vita di quel bambino che oggi ha quasi quattro anni non solo è un errore, ma addirittura un crimine che viola la legge.

Lo stupratore e il farmaco illegale

Tempi si era occupato della storia di questo coraggioso medico, una storia che ha inizio quattro anni fa con un crimine vero, anzi due: quello commesso da un orco che stupra e mette incinta una ragazza di 19 anni, e quello commesso da una associazione pro-choice che mette a repentaglio la sua vita somministrandole farmaci illegali per farla abortire al quinto mese e mezzo di gravidanza. Per questi due crimini, ricordiamolo ancora una volta, nessuno, né l’aggressore, né gli attivisti che hanno fornito irresponsabilmente alla ragazza il misoprostolo, si trova in carcere. Perché nessuno li ha denunciati.

Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome
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A rischiare il carcere invece è il ginecologo Leandro Rodríguez Lastra che si trova di guardia il giorno in cui la ragazza in preda alla febbre a dolori lancinanti viene portata all’ospedale di Cipoletti. La diciannovenne racconta tutto, di essere stata violentata, di essere incinta, di avere ingerito un farmaco consegnatole da una ong pro-aborto. Ma nessuno sa cosa possono averle dato per davvero, quello che sa il medico (che, sottolineiamo, non è iscritto nel registro degli obiettori di coscienza) è che la ragazza e il suo bambino rischiano grosso: il piccolo ha quasi 23 settimane e pesa più di 500 grammi, limite oltre il quale secondo l’Oms un bambino è in grado di sopravvivere fuori dall’utero materno a meno che qualcuno lo uccida o non lo soccorra – cioè commetta un crimine.

Il ginecologo salva mamma e bambino

È vero che esiste un protocollo provinciale, promosso dalla deputata Marta Milesi, che giustifica l’aborto in caso di stupro senza indicare un limite alla gravidanza, ma la vita della ragazza è in pericolo. Il medico fa a quel punto tutto quello che ci sia aspetta da lui: stabilizza la ragazza, evita la sepsi, le salva la vita, raduna una équipe di ostetriche, neonatologi, psicologi, assistenti sociali e dirigenti dell’ospedale: tutti convengono che nelle condizioni della giovane la migliore opzione medica per “interrompere la gravidanza” sia aspettare fino a 35 settimane e da lì indurre il parto per poi dare il bambino in adozione. La giovane accetta, una famiglia adotta il bimbo appena nasce.

Eccoli i fatti: chi ha adempiuto al suo dovere e alla legge e chi ha commesso un crimine? L’uomo che ha stuprato la ragazza, la ong che le ha dato un farmaco abortivo al quinto mese e mezzo di gravidanza, la ragazza che non l’ha mai denunciato o il medico che l’ha salvata? La deputata Milesi non ha dubbi: a commettere reato è stato Leandro Rodríguez Lastra, che ha ostacolato l’aborto, «la vittima è stata violentata due volte, dal suo stupratore e dal sistema». Il tribunale accoglie l’accusa della deputata: il medico ha violato i doveri di un pubblico ufficiale. Nessuno apre un’indagine sul gruppo femminista la Revuelta dove una dottoressa dell’ospedale Fernandez Oro ha ammesso di avere indirizzato la ragazza in prima battuto, nessuno ha cercato di dare una identità allo stupratore.

Dopo le 20 settimane «non è aborto»

Rodríguez Lastra si difende sostenendo di non avere eseguito l’aborto per ragioni mediche e di aver obbedito a tutte le leggi provinciali e nazionali che garantiscono protezione alla vita fin dal suo concepimento. Spiega, da medico, che dopo le 20 settimane «non si può e non si deve nemmeno parlare di aborto. Per interrompere una gravidanza così avanzata si deve uccidere il bambino prima di rimuoverlo», oppure si fa partorire la ragazza, ma il rischio che il bambino nasca vivo e vada in corso a gravissime disabilità è altissimo. In entrambi i casi a rischiare è anche la madre, «in emergenza un medico deve prendere la decisione migliore possibile. E per me in quel momento la decisione migliore possibile era salvare due vite, non metterle a repentaglio entrambe» ha spiegato il ginecologo. Tutte le autorità preposte allora alla salute e alla famiglia erano d’accordo con lui, tutti i ginecologi dell’ospedale, dopo avere assistito al processo del medico, hanno deciso di dichiararsi obiettori di coscienza. Secondo il giudice Álvaro Meynet infatti, il medico non obiettore era obbligato per legge a effettuare l’aborto.

Salvare vite diventa un crimine

Dopo mesi di ricorsi il medico può tornare dunque a esercitare la professione. Certo, privatamente, e certo, nella nuova Argentina dell’aborto libero e delle femministe che per anni hanno appiccato il fuoco a cattedrali e scagliato molotov contro chiunque difendesse i diritti del concepito, è già stata annunciata battaglia contro la sua riabilitazione. Eppure, oggi più di allora, la storia del caso Rodríguez Lastra continua a smascherare tutti i paradossi dell’aborto come libera scelta: in base alla sentenza che ha condannato il ginecologo né i medici né la giovane donna stuprata sarebbero stati liberi di non praticare l’aborto o di non abortire: come siamo arrivati a stabilire a fare dell’aborto una legge assoluta e del salvare vite un crimine?

Oggi Lastra si è registrato come obiettore di coscienza, «prima non lo ero, perché ero d’accordo con quanto stabilito dal codice penale, con l’interruzione di gravidanza a tutela dalla salute della donna». Ma dopo essere stato trascinato alla sbarra per aver tutelato la salute di una donna e non aver «praticato un’azione aberrante» come strapparle via dal ventre un bambino che poteva sopravvivere con conseguenze gravissime ha cambiato idea. Chi è che mina i diritti e mette a repentaglio la vita delle gestanti?

Tags: AbortoargentinaLeandro Rodríguez Lastraobiezione di coscienza
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