Antisemitismo? «Dipende». Cortocircuito woke ad Harvard, Mit e Penn
Il caso delle tre presidenti di Harvard (Claudine Gay), Mit (Sally Kornbluth) e Penn University (Liz Magill), rappresenterà forse uno dei punti di svolta della cultura woke. Martedì scorso, le tre presidenti sono andate in audizione alla Camera dei deputati americani, a maggioranza repubblicana. Il tema era l’antisemitismo connesso alle recenti manifestazioni a favore di Hamas e Intifada. A queste università, secondo un copione ben noto in Europa, si rimproverava di non aver preso alcun provvedimento contro studenti e professori che, pur essendo un’esigua minoranza, hanno creato un clima di violenta discriminazione nei confronti degli ebrei.
Antisemiti? «Solo se le parole diventano azioni»
La domanda un po’ insidiosa e non completamente trasparente della deputata Elise Stefanik alle presidenti è stata: «Nella vostra università invocare il genocidio degli ebrei è considerato bullismo o aggressione o no?». Avrebbero potuto rispondere in molti modi, magari dicendo che la domanda è mal posta perché sostenere Hamas non significa necessariamente sostenere il genocidio degli ebrei, o qualcosa di simile. Purtroppo, però, le tre presidenti al contrario hanno sorriso con sufficienza, si sono guardate fra di loro e si sono rifiutate di rispondere sì o no, dicendo alla fine che “dipende dal contesto” o, peggio, “dipende dalla condotta: solo se le parole diventano azioni”.
Da lì, apriti cielo! O meglio, svuotati cielo! Il cielo dei finanziatori ebrei delle università si è svuotato in poche ore, alcuni membri del comitato di controllo sull’antisemitismo di Harvard si sono dimessi, i meme con le tre presidenti con baffetti hitleriani e il libro Mein context (!) si sono diffusi sui social. In un tentativo goffo di riparazione, il giorno dopo la presidente di Harvard e quella di Penn hanno rilasciato troppo tardive risposte positive alla domanda di Stefanik. Un consiglio di amministrazione straordinario di Penn University è stato convocato di domenica e la presidente è già dimissionaria. Anche tra gli alumni di Harvard è in corso una petizione che chiede le dimissioni della presidente.
La regola diversity, equality, inclusion sotto accusa
Più nel profondo, la regola DEI, diversity equality inclusion, il nuovo politicamente corretto woke che ha dominato le università americane nell’ultimo decennio, è ormai messa apertamente sotto accusa. Sono tutti davvero uguali, se poi si viene redarguiti o puniti quando si dice a qualcuno “grasso” ma non succede nulla se invoco la morte di un intero popolo? Sono tutti davvero rispettati al di là di ogni colore, se poi uno viene considerato un oppressore perché ebreo?
Il problema che l’audizione ha fatto emergere è che nei connotati di questa nuova ideologia rimane uno dei tratti decisivi delle tragiche ideologie novecentesche: la dinamica inclusione/esclusione. È un problema di logica: se si include qualcuno, si esclude qualcun altro, ci sono i “nostri” e gli “altri”. E “gli altri” diventano presto il nemico “oggettivo”, quello che è tale non per quello che fa, dice o pensa, ma per quello che è: nobile, kulak, e ovviamente, come spesso accaduto nella storia, ebreo.
Un’audizione che segna forse l’inizio della fine
Come aveva provato la matematica di inizio Novecento, l’idea che esista un insieme che includa tutti gli insiemi diventa contraddittoria o paradossale per natura. Trasportata in politica, la logica inclusione/esclusione crea il paradosso orwelliano: siamo tutti uguali ma qualcuno è più uguale degli altri. Così siamo tutti inclusi ma qualcuno è più incluso di altri. E qui incomincia il contestualismo delle presidenti dei celebri istituti universitari americani: chi debba essere più incluso al momento (palestinesi o ebrei?) lo decide chi ha il potere in quel momento. Così si compie la perfetta parabola dell’uguaglianza che diventa diseguaglianza, della libertà che diventa autoritarismo.
Come andrà a finire? La reazione forte del pubblico americano fa capire che, nonostante tutto, negli Stati Uniti – nel bene e nel male guida del mondo occidentale – gli anticorpi all’autoritarismo della cultura woke funzionano ancora e, anzi, sembrano rafforzarsi con il tempo, anche grazie agli inevitabili contorcimenti della nuova ideologia. Vedremo come andrà a finire, ma l’audizione sull’antisemitismo segna forse l’inizio della fine.
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