Dopo Pride e Black Lives Matter le aziende sventolano la bandiera dell’aborto

Di Caterina Giojelli
22 Maggio 2022
Da Starbucks ad Amazon, da Levi's ad Apple, dopo aver trasformato l'egg freezing in benefit aziendale le imprese puntano sulle interruzioni di gravidanza. Altro che "accesso alle cure", è la biologia sottomessa al capitalismo delle corporation
La marcia per il diritto di aborto a Chicago, Illinois
La marcia per il diritto di aborto a Chicago, Illinois (foto Ansa)

Diritti, sostenibilità, clima, lotta al razzismo, al suprematismo bianco, alle discriminazioni di genere. Nell’America in rivolta contro l’ormai famigerata bozza del parere della Corte Suprema che rovescerebbe la Roe v Wade divulgata da Politico, alle infinite sfumature del “-washing” delle grandi aziende (dal green al black passando per il social-washing) si aggiunge ora la difesa del valore dell’aborto.

Viene chiamata tutela dei “diritti riproduttivi” o delle “cure sanitarie”, perfino “proteggere la salute e il benessere dei nostri dipendenti”, ma tant’è: l’uccisione di un bambino in grembo è finita alla voce rimborsi, benefits per i dipendenti, ma soprattutto ritorno d’immagine. Ed è forse questa la ragione più sincera che muove consulenti e addetti alla reputazione aziendale a consigliare di issare, dopo quelle del Pride o di Black lives matter, la bandiera dell’aborto.

Starbucks, Levi’s, Amazon per l’aborto

Starbucks ha deciso di rimborsare i viaggi per cercare interruzioni di gravidanza o cure gender affirming a tutti i dipendenti (240 mila) e i loro familiari iscritti all’assicurazione dell’azienda, qualora tali servizi non fossero disponibili entro 100 miglia dalla loro abitazione. Così anche Levi Strauss & Co: rimborso delle spese di viaggio per tutti i dipendenti che devono migrare da stati antiabortisti – come il Texas, l’Oklahoma o il Mississippi – per porre fine a una gravidanza. E così anche Amazon: coprirà fino a 4mila dollari di spese di viaggio per chiunque debba sottoporsi a procedure mediche lontano 100 miglia da casa, tra queste è annoverato anche l’aborto. Una misura che ha valore retroattivo e che si estende a tutti i viaggi sanitari effettuati dall’inizio del 2022.

Anche il gigante della tecnologia Apple, che sta espandendo la sua presenza ad Austin con un nuovo campus da 1 miliardo di dollari, è salito sul carro: la sua polizza copre i servizi di aborto e dove necessario le spese per il viaggio verso le cliniche fuori dallo stato.

Travel benefits e trasferimenti dal Texas

Biglietto aereo, carburante, vitto, alloggio in albergo e babysitter per i figli a casa vengono invece pagati da Amalgamated Bank a chiunque debba “accedere all’assistenza sanitaria riproduttiva” fuori dallo stato. Idem Citigroup: leggiamo su Forbes – impegnato a verificare le numerose dichiarazioni di intenti seguite allo scoop di Politico – che la banca di Wall Street ha affermato che inizierà a fornire dei “travel benefits” per facilitare “l’accesso a risorse adeguate” negli stati che hanno emanato leggi restrittive in materia di “assistenza sanitaria riproduttiva”.

Stesse parole usate da Power Home che ha stabilito un tetto di diecimila dollari per ogni famiglia dei suoi dipendenti. Salesforce ha promesso invece di ricollocare tutti quelli che non desiderino più vivere in Texas insieme alla loro famiglia.

Rimborsi per aborti e transizione di genere

Match Group, casa madre delle app di appuntamenti Tinder, OkCupid e Hinge, e la società Bumble, entrambe con sede in Texas, hanno dato vita a un fondo per aiutare le dipendenti che devono uscire dallo stato per abortire. L’amministratore delegato di Match, Shar Dubey, ha stretto anche una partnership con Planned Parenthood Los Angeles per l’erogazione del servizio. Idem Chobani, DoorDash, Hims&Hers («6.000 dollari di rimborso per il viaggio e due settimane di congedo per i dipendenti e i loro partner che hanno bisogno di recarsi in uno stato che offre l’accesso all’assistenza sanitaria riproduttiva», «so quanto sia personale la decisione di diventare genitore – ha twittato il ceo Hims Andrew Dudum –. Tutti, indipendentemente da dove vivono, devono essere liberi di prendere quella decisione da soli e nessuno dovrebbe dettargliela»).

Scatenate le multinazionali della comunicazione, come Interpublic Group, Publicis Groupe e WPP che hanno aggiornato con la coperture delle spese per viaggiare e ricevere “abortion care”. Così Lyft, Power Home Remodeling. Microsoft si sta muovendo sul modello Starbucks: non solo aborto ma anche rimborsi delle spese di viaggio affrontate per ottenere trattamenti per cambiare genere. Il 6 maggio anche Tesla ha ampliato, senza menzionare direttamente l’aborto, la copertura assicurativa di viaggio e alloggio per i dipendenti in cerca di assistenza sanitaria nel proprio stato di origine. Idem United Talent Agency che parla di “servizi” e “salute riproduttiva”.

Donazioni a Planned Parenthood

Di più, Yelp ha confermato a Forbes di avere esteso la sua polizza che già copriva i costi degli aborti non solo ai dipendenti «attualmente interessati dall’accesso limitato all’aborto, ma anche quelli che potrebbero esserlo in futuro». Di più, il ceo Jeremy Stoppelman si è impegnato da qui a giugno a raddoppiare le donazioni dell’azienda a gruppi come il Center for Reproductive Rights e Planned Parenthood. Secondo Miriam Warren, chief diversity officer di Yelp, «la capacità di controllare la propria salute riproduttiva e se o quando si desidera allargare la propria famiglia, è assolutamente fondamentale per avere successo sul posto di lavoro».

Ecco il punto. Come non vedere nel trattare l’aborto alla stregua di una “cura sanitaria” – come se un bambino fosse un cancro e la famiglia ancora una volta puro impedimento alla carriera –, la stessa ossessione individualista che tanto fa risparmiare alle aziende sui congedi di maternità e che qualche anno fa propinava il congelamento degli ovuli e del procrastinare una nascita a data da destinarsi?

“Freeze your eggs, free your career”

L’idea era partita come sempre sulle copertine dei giornali e le aziende della Silycon Valley al traino. “Freeze your eggs, free your career”, “congela i tuoi ovociti, libera la tua carriera”: così una celebre copertina di Bloomberg Businessweek del 2014 spiegava alle donne come sarebbe stato possibile avere tutto: tempo per trovare il partner giusto, rompere con quello sbagliato, per sentirsi pronte diventare madri senza rinunciare alla carriera. Tutto grazie alla scienza e alla tecnica promessa dall’egg freezing, presentato come una sorta di polizza assicurativa per avere un bambino nelle migliori condizioni: non per nulla nello stesso anno Apple e Facebook si inventavano i benefits per il congelamento degli ovuli, ovvero un rimborso pari 10 mila dollari offerto alle dipendenti che avessero scelto di mettere in freezer i propri gameti rimandando così “il problema” della maternità a un futuro in cui si sarebbero sentite lavorativamente, economicamente e affettivamente appagate e pronte per avere un bambino.

Google, Apple, Uber, Yahoo, Netflix, Intel, eBay le avevano seguite e le donne ci avevano creduto. E poi? Poi si è scoperto non solo che meno del 15 per cento delle donne che li aveva messi al freddo era tornata a prendersi l’ovocita per farne un bambino, ma che il tasso di successo delle gravidanze da egg freezing era solo lo 0,7 per cento.

La biologia sottomessa al capitalismo

Eppure Nancy Fraser, femminista americana, guru di sinistra, professoressa di scienze politiche e sociali alla New School, le aveva avvisate: «Le donne possono individualisticamente esserne sollevate, sembrerà che possano avere tutto. Ma di fatto è la biologia che viene sottomessa e piegata al capitalismo delle corporation». Non è diverso con l’aborto di fatto sponsorizzato dai datori di lavoro: sempre per citare Fraser sull’egg freezing, l’idea che «noi adattiamo la famiglia e la riproduzione all’agenda aziendale in realtà è folle».

Ma come distinguere oggi cosa è folle e cosa no, e cosa è libertà e cosa sottomissione della biologia femminile alle corporation? Chiamata a testimoniare dai democratici a Capitol Hill sul diritto di aborto Aimee Arrambide, direttrice esecutiva dell’organizzazione abortista Avow Texas, non solo ha affermato à la Ketanji Brown Jackson (il giudice donna che il presidente Biden ha nominato per integrare la Corte Suprema e che non sa definire una donna perché «non sono una biologa») che non si può definire una donna perché «tutti possano identificarsi da soli». Ma a domanda «credi che gli uomini possano rimanere incinta e abortire?», ha risposto molto precisamente: «Sì».

Profitto sulla pelle di donne e bambini

Difficile non accostare alla follia le immagini della campagna di Calvin Klein per la festa della mamma con il trans Roberto Betes  con barba e pancione e chiamare con il nome giusto il “-washing” delle aziende in favore della “salute riproduttiva”: profitto, profitto sulla pelle delle donne e dei loro bambini.

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