Pubblichiamo l’editoriale di Luigi Amicone uscito sul numero 42/2012 di Tempi.
Chiedo scusa se tolgo per una volta la parola a Marina. Ma siamo in emergenza democratica. Pensateci. «La rigorosa osservanza delle leggi, il più severo controllo di legalità rappresentano un imperativo assoluto per la salute della Repubblica, e dobbiamo avere il massimo rispetto della Magistratura che è investita di questo compito essenziale». Questa un’agenzia del 15 ottobre in cui il Capo dello Stato, durante l’inaugurazione di una “scuola di magistrati”, è tornato a difendersi (a fronte dell’ultima malevolenza, «il Presidente non è un Re che gode di immunità assoluta») da «una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni ed escogitazioni ingiuriose». La campagna, come è noto, sta in quella fiaccola accesa dalla procura di Palermo sulla presunta “trattativa stato-mafia” a cui il Presidente tenderebbe a sottrarre via Corte Costituzionale l’escussione delle proprie intercettazioni e che in principio venne istruita dal venditore di papelli, colto in flagrante millanteria («io sono un’icona dell’antimafia, io sono in vendita, io gli ho detto che negherò tutto se non mi aiutano»), sotto processo per calunnia e associazione mafiosa, e ora anche indagato per presunto lavaggio-riciclaggio (via discarica in Romania) di 112 milioni (il presunto tesoro di papà), Ciancimino Junior.
Dopo di che, uno scorre gli editoriali del giorno, di qualsiasi giorno, e legge e rilegge gli insulti alla politica, gli sberleffi ai partiti, le articolesse di indignazione contro il parlamento. Facile eh? Più difficile, anzi, impossibile, trovare ezi e ferrucci, curzimaltesi e sergiromani, che abbiano il coraggio di avventurarsi nel commento di iniziative di procure che chiudono di punto in bianco una fabbrica che dà pane e lavoro a decine di migliaia di famiglie. Ed è impossibile, benché perfino la Fiom si sia schierata con i preti, trovare un commento in prima pagina a una sentenza che ha sospeso l’eredità della Faac, multinazionale dell’automazione, consegnandola al custode giudiziario, solo perché un lontano parente del proprietario deceduto ha contestato il lascito testamentario dell’azienda alla Curia di Bologna.
Più difficile trovare editoriali che si domandino perché un mandato di arresto per voti di scambio venga eseguito un anno dopo il giorno che è stato spiccato. E perché, dopo che ne beccano uno, tutto d’un colpo beccano tutti i consigli regionali d’Italia. E Monti taglia le Regioni. Adesso è il turno di Formigoni. E della sua base sociale. Ma provate a chiedere agli imprenditori quante commesse sono bloccate e quanti cantieri sono fermi. Provate a chiedere al sindaco di Milano con quali tempi incerti si lavora a un Expo dove si dovrebbe avere “poteri speciali” e invece ogni passo può essere interrotto da un “controllo di legalità” (e bisogna averci con i pm ottime relazioni informali). Impossibile, poi, visto e considerato che le notizie, e dunque le carriere, dipendono dagli “agganci” in procura, trovare un solo giornalista autorizzato anche solo a insinuare che i tribunali sono l’unico posto in Italia dove non ha accesso la trasparenza e dove gli incorruttibili non hanno bisogno di controlli. Si sa, i giornali profit sono imprese commerciali e come tali hanno padroni. Il caso vuole che i padroni dei giornali italiani siano banchieri, costruttori, finanzieri, imprenditori della sanità, multinazionali. Difficile l’esercizio del famoso e autentico Quarto Potere all’americana. Finché c’è da controllare e ingattabuiare la politica, ok. Ma se c’è di mezzo il potere togato, eh, sono cavoli amari. Parlare di giustizia, va bene (quando va bene) per i casi pietosi e umanitari. Prova ne è che c’è una notizia grande come parecchie condanne all’Italia da parte dell’Alta Corte europea per i Diritti Umani, ma la trattano come un caso pietoso e umanitario.
Perché non chiudono i penitenziari?
Eppure la notizia è che il circuito penitenziario italiano è illegale e torturatore. Perché non lo chiudono come l’Ilva? Perché il Presidente non invia un messaggio alle Camere, come gli prescrive Costituzione, e perché «la rigorosa osservanza delle leggi» e «l’imperativo assoluto del più severo controllo di legalità» non valgono per lo Stato? Stesso voltafaccia il governo. Sapientoni e dispensatori degli “indispensabili sacrifici” per tutte le categorie. Ma, fateci caso, si dimenticano del carcere e di quella parte di classi non elettive che esercitano il potere di sbattere la gente in carcere. E se casomai ci pensano – come con i tagli ai maxistipendi dei lavoratori pubblici – immediata – quasi come il pagamento della fattura all’imprenditore che ha fatto un lavoro per l’amministrazione pubblica – arriva una sentenza della Consulta a specificare che i tagli sì, vanno bene, eccetto che per i giudici e i supermanager dello Stato. Avete visto qualche editoriale di commento in proposito? Tutta questa timidezza e, diciamolo pure, il silenzio intorno al terzo potere dello stato, non vi lascia un po’ perplessi e sospettosi – in una non strisciante democrazia dei colonnelli – che la magistratura sembri un potere che fa paura? Pensateci. E se non volete coltivare il sospetto di una P1 in azione da vent’anni in Italia, datevi risposte all’altezza dell’immobilismo ventennale su ogni riforma della giustizia in Italia.