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In un commento sul Corriere della Sera il rabbino Giuseppe Laras ha messo per iscritto ciò che pensiamo in molti, e cioè che sia solo questione di tempo: «Ormai la domanda non è se avverrà un attentato in Italia, ma quando, dove e come». È una percezione che si ha da anni e che va di pari passo con la codardia occidentale ad ammettere che il primo problema che abbiamo è riconoscere che chi ci colpisce è nostro “nemico” ed è “islamico”.
Questo, ovviamente, non fa di ogni musulmano un potenziale attentatore, ma certamente ci costringe a essere seri e decisi e a non cincischiare con le parole quando parliamo di “integrazione”. Prendete il caso di Milano, a suo modo emblematico. Nella recente campagna elettorale per il Comune, il Pd ha sostenuto la candidata più vicina a una certa idea di islam politico incompatibile con la nostra democrazia, mettendo ai margini Maryan Ismail, somala, sufi, favorevole a una collaborazione con le nostre istituzioni basata su regole precise e senza zone d’ombra.
Quella di Maryan è l’unica via percorribile perché si possa davvero integrare e perché le moschee siano cristalline case di vetro, dove si predica in italiano e non si propaganda il jihadismo. Quanto tempo impiegherà la sinistra a capirlo? Troppi segnali ci dicono che è finito il tempo dei farfugliamenti e delle chiacchiere, del buonismo a buon mercato con incasso elettorale di ritorno. Speriamo di non accorgercene troppo tardi, come accaduto in Francia e come tragicamente descritto dall’imam di Nîmes, Hocine Drouiche, dimessosi dopo la strage di Nizza in polemica con gli altri capi religiosi musulmani: «Dobbiamo svegliarci e dire la verità. Queste istituzioni non fanno nulla per la pace sociale e continuano a ripetere che l’estremismo non esiste».
Foto Ansa