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Zambia, «aborti per migliorare le vendite di farmaci». Dura accusa di un missionario italiano

In Africa esistono Ong create ad hoc dalle case farmaceutiche per sperimentare pillole abortive sulle donne e diffondere i loro prodotti. La denuncia di don Paolo Pupillo

Matteo Rigamonti
23/03/2013 - 16:19
Esteri
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In Zambia, come del resto in molti altri paesi dell’Africa subsahariana e del Terzo mondo, si combatte ogni giorno una vera e propria “guerra” tra organizzazioni non governative. Perché, di fronte al drammatico problema delle gravidanze non desiderate, che spesso sono conseguenza di violenze e relazioni clandestine, c’è chi combatte per difendere la vita e chi, invece, combatte per soldi, calpestando, di fatto, le vite di molti bambini e delle loro a volte giovani madri. Nel primo caso, si tratta di piccole ong a dimensione familiare che appoggiano i missionari locali nell’arduo compito di educare la popolazione e offrire una speranza di vita concreta a chi decide di tenere il bambino; nel secondo, spesso, si tratta di ong costruite ad arte dalle case farmaceutiche che, con l’appoggio dei governi, sono maestre del fundraising internazionale e non si fanno scrupoli per promuovere i loro “farmaci” e altre soluzioni abortive. Una realtà che don Paolo Pupillo, missionario fidei donum della diocesi di Milano “in prestito” allo Zambia, conosce molto bene e che ha voluto denunciare a Tempi – assumendosi la piena responsabilità delle sue forti accuse – per far sapere come stanno davvero le cose nel suo paese. I missionari fidei donum della diocesi di Milano sono preti di parrocchia letteralmente prestati a diocesi straniere che operano secondo tre principali direttive: l’evangelizzazione, l’autoministerialità (cioè la capacità di condurre parrocchie e comunità cristiane in un cammino di fede) e l’autosostenibilità (ossia il compito di collaborare alla costruzione di opere e progetti che possano stare in piedi anche quando il prete dovesse abbandonare il posto).

Don Pupillo, cosa succede a Lusitu, in Zambia?
Beh, succede più o meno quello che succede un po’ in tutto il Terzo mondo (e non solo, purtroppo). Ci sono diverse ong che esercitano pratiche abortive, promuovendone la diffusione e trattando con i governi per un semplice interesse primario, ossia quanto ci guadagnano. Basta andare sui loro siti o visionare i volantini per accorgersi di cosa si tratta: dietro alle apparenti buone intenzioni (come, per esempio, la prevenzione di gravidanze indesiderate e la salute riproduttiva) si nascondono tutti i rischi e gli effetti collaterali non dichiarati. Un esempio? Il programma anticoncezionale (che è solo uno tra i tanti) denominato “family planning” della ong Marie Stopes International Zambia, che i vescovi zambiani hanno bene in mente da almeno un anno. In Zambia, vede, abortire e far abortire è ormai diventato un business. Mentre il governo dovrebbe analizzare la complessità del problema e trovare valide soluzioni alternative, ma non lo fa. Perché preoccuparsi, del resto, quando c’è qualcuno che fa il “lavoro sporco” al posto tuo?

Quali fattori storici e culturali sono all’origine del problema delle gravidanze indesiderate?
Da noi le gravidanze indesiderate, che per lo più coinvolgono ragazzine troppo giovani oppure famiglie forse già troppo numerose, hanno spesso a che fare con violenze carnali o relazioni clandestine con persone benestanti come politici e dirigenti. E, come se non bastasse, il codice d’onore non scritto locale tutela in maniera sproporzionata la parte lesa (la donna) e il colpevole, che sovente è condannato a pene soltanto simboliche. Ma i problemi più seri nascono quando si cerca di interrompere la gravidanza autonomamente con pratiche abortive poco sicure e dolorose.

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L’intervento delle ong, dunque, non è da leggersi come qualcosa di positivo?
Il problema di rendere meno rischiosa una pratica scellerata come l’aborto, specie se clandestino, è reale. Ben vengano, pertanto, migliori condizioni sanitarie. E sicuramente c’è bisogno anche di una legislatura più “garantista” per la vita e a difesa della salute. Così come pure c’è bisogno di un’educazione, ben fatta, a che cosa sia davvero l’amore e non solo di un’educazione sessuale. Detto questo, però, non si può non accorgersi quando una ong, come nel caso di Marie Stopes International Zambia, mira semplicemente a incentivare il ricorso all’aborto al fine di migliorare le vendite di un farmaco e implementare il suo piano di sperimentazione di progetti tramite pillola.

E a Lusitu il quadro è quello che lei ha appena descritto?
Sì, a Lusitu le ragazzine sono semplicemente delle cavie a disposizione degli interessi di quelle ong che hanno la sfacciataggine di mentire sui loro reali obiettivi. E non dimentichiamoci che i governi non sono mai ideologici: quelli favorevoli all’aborto, infatti, hanno sempre alle spalle importanti case farmaceutiche. In mezzo ci sono le ong, che assumono un ruolo molto importante quando suppliscono alle carenze dei governi e quando evidenziano le ingiustizie sociali, ma che possono anche decidere di offrire scorciatoie acuendo problemi sociali già esistenti. In questo secondo caso, il loro operato va denunciato.

Qual è, invece, l’alternativa che voi missionari proponete?
Il nostro lavoro in questo campo è soprattutto di educazione e prevenzione; già don Bosco, del resto, insegnava il metodo preventivo. Purtroppo, però, qui a Lusitu, non ci sono ong che lavorano con noi su questo progetto, anche perché la nostra è una realtà piccola. E non è un caso che le ong davvero indipendenti, come tutte quelle piccole realtà a dimensione familiare che collaborano con i missionari come per esempio Ali d’Aquila, facciano molta fatica ad accedere ai fondi internazionali. Fondi che, spesso e volentieri, sono assorbiti con arte e mestiere da ong sussidiarie, create proprio per questo scopo da importanti case farmaceutiche. Ed è questo il motivo per cui dico – e me ne assumo la piena responsabilità – che programmi come quello di Marie Stopes International Zambia non dovrebbero nemmeno esistere e i governi non dovrebbero appoggiarli.

Che cosa vi fa ben sperare?
Innanzitutto, il fatto stesso che ci siamo, e che possiamo lavorare. Anche se il “nemico” è forte e lavora nell’ombra, dalla fede in Gesù ci viene la speranza e troviamo la via per poter dare una testimonianza. Un altro punto di forza è che lo Zambia non conosce la guerra, perché è un paese dove c’è la pace da sempre. Questo è un aspetto che facilita e rende possibile il dialogo. In Zambia, poi, ci sono molte chiese, quasi tutte cristiane, che hanno contribuito a diffondere tra la gente la consapevolezza che l’aborto è sempre un male.

@rigaz1

Tags: Abortoafricaanticoncezionaleinterruzione di gravidanzaongzambia
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