Yellowstone. Metti una regina tra i duri cowboy e il western funzionerà

Di Simone Fortunato
14 Ottobre 2020
La convincente interpretazione di Kelly Reilly nella serie tv ambientata nel Montana. Le recensioni del numero di ottobre 2020 di Tempi
Kelly Reilly nella serie tv Yellowstone

Articolo tratto dal numero di ottobre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Un po’ massacrato dalla critica in patria, che l’ha visto come una sorta di Dallas moderno, è disponibile da qualche tempo su Sky Yellowstone, la serie tv creata dal bravo Taylor Sheridan, sceneggiatore di Sicario, tra le altre cose, e negli Stati Uniti già arrivata a una quarta stagione.

La vicenda è semplice: si tratta del solito caro vecchio Shakespeare vestito da cowboy a cavallo tra le immense praterie del Montana. C’è un enorme ranch, una sorta di regno dove il padrone è un monarca di stampo assoluto, John Dutton, vedovo, forse malato, alle prese con un capo indiano che vorrebbe fregargli la terra e dei figli, uno più problematico dell’altro.

È una serie violenta, in alcuni episodi della seconda stagione violentissima, che miscela i classici momenti delle serie televisive tradizionali: l’amore, il sesso, la sete di potere, cattivi che sono cattivissimi, malattie, speranza assieme alla cornice, splendida, delle montagne del Montana. Sembra un po’ Dallas, è vero, ma c’è un cast notevole con Kevin Costner, forse il più grande attore vivente di western dopo Clint Eastwood, efficace in un ruolo ambiguo; c’è Danny Huston, gran cattivone spietato, e infine la vera sorpresa della serie, Kelly Reilly, una vita di particine, quasi una caratterista invisibile (però in Calvario, dove interpretava la sorella del prete protagonista, era indimenticabile).

È lei, con la sua determinazione e gli accessi d’ira e un’interpretazione fiammeggiante che ricorda per certi versi la volitiva Faye Dunaway, il personaggio più centrato dell’intera storia. Più dei suoi fratelli, forse un po’ ovvi nel tratteggio della personalità, il figlio perduto e ritrovato e l’altro forse perduto e basta. Più anche dello stesso Costner che ci mette carisma e passione. È lei, unica donna in un mondo di uomini spesso brutali, muti nel dolore e nella durezza della vita (quanto è difficile per uno sceneggiatore scrivere le parti per un uomo, raccontare i suoi sentimenti e il suo mondo interiore al di là dell’azione fisica!), ad avere le battute migliori, le scene migliori, da vera e propria regina di un mondo, per certi versi dimenticato, come quello dei cowboy e degli indiani.

***

Un fotogramma del film Sentieri selvaggi

La parabola di John Ford

Oggi nessuno sa più parlare la lingua di John Wayne

Si fanno ormai pochissimi western al cinema e meno ancora in tv. Costano uno sproposito e il genere è ormai considerato vecchio, datato e impossibile da adattare alla sensibilità moderna. Eppure i western fino a trent’anni fa (Gli spietati, l’ultimo grande western, è del 1992) rappresentavano “il” sistema dei valori per eccellenza. I “buoni” e i “cattivi” e in mezzo tutte le contradizioni della vita.

John Ford, il regista di estrazione cattolica e irlandese, è l’uomo del western e dei suoi punti oscuri. Dal candore quasi commovente e ingenuo di Ombre rosse (dove John Wayne si prende cura, contro tutta la società e i pregiudizi moralisti del tempo, di una prostituta) a Sentieri selvaggi, con lo stesso Wayne, invecchiato, eroe di mille battaglie, che riporta a casa Natalie Wood, allevata dagli indiani che le hanno sterminato la famiglia per farla diventare una di loro. Wayne la cercherà ovunque, per anni, sempre più cupo e disperato, la ritroverà cresciuta come un’indiana, che non parla più in inglese. Per più di un attimo sarà sul punto di ucciderla, poi cambierà idea, come in una vera e propria tragedia greca.

Ma sarà l’inizio della fine, per lui, e simbolicamente, per un genere che non riuscirà mai più a trovare la strada verso casa, in un mondo cambiato che usa ormai una lingua diversa.

***

Un fotogramma del film Tutto il mio folle amore

Tutto il mio folle amore

Discreto road movie con poca sceneggiatura

Il viaggio nei Balcani di un padre con il figlio autistico.

Discreto road movie firmato da Gabriele Salvatores, sempre molto bravo stilisticamente. Il difetto è, però, nella sceneggiatura. Funzionano poco i personaggi di contorno, a partire dalla coppia Valeria Golino-Diego Abatantuono, mentre funzionano i due protagonisti: Claudio Santamaria nei panni di un cantante da balera perso nei ricordi, e il giovane esordiente Giulio Pranno nei panni di un ragazzo autistico. Sembra un po’ il Leonardo DiCaprio di Buon compleanno Mr Grape, un personaggio in cerca di equilibrio tra sentimenti contrastanti e un padre spesso assente.

Regia di Gabriele Salvatores

***

Un fotogramma del film Sulle ali dell'avventura

Sulle ali dell’avventura

Un figlio sulle orme del padre ornitologo

Un ornitologo e il figlio cercano di salvare le oche selvatiche.

Il regista è quello di Belle e Sebastien e soprattutto de Il grande Nord, gran documentario di una quindicina di anni fa. Storia molto bella: un ornitologo pensa da anni a un modo per addestrare alcune oche selvatiche al ritorno a casa in autonomia, dal freddo della Norvegia alla Camargue. Si inventa una sorta di piccolo deltaplano per accompagnarle con l’aiuto del figlio adolescente. Si parla di oche ma in realtà il centro affettivo di tutto il film sta nel rapporto tra un padre appassionato e tra un figlio che, gradualmente, segue le sue orme.

Regia di Nicolas Vanier

***

Un fotogramma del film Sto pensando di finirla qui

Sto pensando di finirla qui

Non ci capirete nulla ma vale la pena lo stesso

Una ragazza viene portata dal fidanzato a conoscere i genitori.

È l’ultima opera di Charlie Kaufman, sceneggiatore geniale ma spesso incomprensibile ai più, incluso il sottoscritto: è autore, tra le altre cose, di Essere John Malkovich, un film tutto ambientato nella testa di Malkovich, e del bellissimo Se mi lasci ti cancello.

Cerebrale, quasi una sfida con lo spettatore, è anche questo suo ultimo film che firma anche come regista. Sto pensando di finirla qui è tante cose in una: sembra una storia d’amore, poi diventa un horror, poi un mistery per chiudere con un gran punto interrogativo. Ci capirete poco, ma varrà la pena lo stesso.

Regia di Charlie Kaufman

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.