«Xi è un dittatore» e Biden è in campagna elettorale
Se per Pechino esiste una “democrazia con caratteristiche cinesi”, per Washington evidentemente esiste una “diplomazia con caratteristiche americane”. Delinearne i contorni non è facile, soprattutto dopo che Joe Biden ha definito Xi Jinping un «dittatore». Solo poche ore prima il presidente Usa aveva dichiarato che Antony Blinken «ha fatto un grande lavoro» durante la sua missione distensiva in Cina, terminata appena il giorno precedente con un incontro con il leader comunista.
«Xi è un dittatore». «Parole assurde di Biden»
L’attacco diretto a Xi è arrivato all’interno di un un evento del partito democratico per la raccolta fondi in vista delle prossime elezioni. Biden stava commentando la crisi del pallone spia abbattuto a febbraio sui cieli americani: «Xi Jinping fu piuttosto scosso, perché non sapeva che il pallone carico di strumenti per lo spionaggio fosse lì. E non essere al corrente dell’azione naturalmente è un grande imbarazzo per i dittatori».
La replica di Pechino non si è fatta attendere. «La parole di Biden sono assurde ed estremamente irresponsabili», ha detto la portavoce del ministero cinese degli Esteri, Mao Ning. «Vanno contro i fatti e i protocolli diplomatici, violano seriamente la dignità politica della Cina e costituiscono una provocazione politica pubblica».
Molto più di una semplice gaffe
Le gaffes sono il pane quotidiano del presidente americano e dall’insediamento del 20 gennaio 2021 ne ha compiute a decine. Una delle più eclatanti è stata quella del 26 marzo 2022, quando Biden in Polonia definì Putin un «macellaio» e affermò che «non può rimanere al potere», auspicando implicitamente un regime change in Russia come risultato della guerra in Ucraina.
È possibile che Biden, che a novembre compirà 81 anni, sia incappato in un nuovo scivolone. Ma è più probabile che abbia detto esattamente ciò che voleva dire, soprattutto se si considera che si trovava davanti a un evento della campagna elettorale.
La visita distensiva in Cina di Blinken
Il viaggio diplomatico in Cina del segretario di Stato americano, Blinken, era andato bene. Gli Usa hanno ribadito che «non sosteniamo l’indipendenza di Taiwan», pur riservandosi il diritto di aiutare l’isola da eventuali tentativi di invasione da parte di Pechino, mentre la Cina ha confermato che non invierà armi alla Russia.
«Siamo sulla buona strada», ha chiosato Blinken al termine dell’incontro, tanto che in autunno Xi potrebbe volare negli Stati Uniti per un bilaterale con Biden.
Biden è in campagna elettorale
Come si spiega allora l’uscita del presidente americano? Escludendo l’ipotesi della gaffe, resta quella interna: Biden è in campagna elettorale e uno dei temi principali è proprio la Cina, l’unico vero avversario strategico degli Stati Uniti.
Il presidente americano deve difendersi dagli attacchi dei repubblicani, che accusano da anni i democratici di essere troppo morbidi nei confronti di Pechino. Quale modo migliore per farlo se non bersagliare direttamente il presidente cinese?
«La Cina costruisce una base militare a Cuba»
C’è anche un altro elemento da considerare. Dopo il viaggio diplomatico di Blinken e prima dei commenti di Biden, il Wall Street Journal ha pubblicato un servizio rivelando che la Cina intende costruire una base militare a Cuba «che potrebbe portare allo stazionamento di truppe cinesi e ad altre operazioni di sicurezza e di intelligence a sole 100 miglia dalla costa della Florida».
La notizia segue di due settimane quella di un’intesa tra Pechino e L’Avana per costruire un nuovo sito di intercettazioni cinesi sull’isola. Non esattamente un segnale distensivo con gli Usa da parte della Cina.
Per quanto possano arrivare segnali positivi dal punto di vista diplomatico, Cina e Usa restano due superpotenze mondiali con pretese egemoniche in competizione fra di loro. L’obiettivo è quello di non far sfociare questa competizione in scontro militare diretto, ma la tensione è inevitabile.
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