Vignali (Pdl): «Dovremo fare manovre da 50 mld l’anno per i prossimi 20»

Di Redazione
06 Luglio 2011
Raffaello Vignali, deputato Pdl, spiega a Tempi perché non sarà una sforbiciata a garantire all'economia italiana un futuro: «Il Patto per l'euro impone all'Italia di rientrare nel giro di vent'anni da un rapporto debito/Pil pari al 119% a uno del 60%. Vuol dire manovre finanziarie da 40-50 miliardi di euro all'anno per i prossimi vent'anni». Se è ottima la nuova fiscalità di vantaggio per chi apre imprese ed è sotto ai 35 anni d'età, per Vignali c'è un'unica soluzione: «Privatizzazioni»

«Il Patto per l’euro impone all’Italia di rientrare nel giro di vent’anni da un rapporto debito/Pil pari al 119% a uno del 60%. Vuol dire manovre finanziarie da 40-50 miliardi di euro all’anno per i prossimi vent’anni. Il pacchetto d’austerità del governo è indispensabile per frenare la speculazione contro i titoli di Stato italiani, che infatti hanno recuperato un po’ di punti sui titoli tedeschi, ma per il futuro bisogna farsi venire qualche grossa idea di valore strategico, se vogliamo continuare a stare nell’euro e se vogliamo gettare le basi di una crescita duratura risparmiando centinaia di miliardi di euro di interessi sul debito».

Raffaello Vignali, deputato Pdl e vicepresidente della Commissione Attività produttive, commercio e turismo della Camera, sta al gioco di commentare quel che s’è fin qui capito della manovra di luglio. Ma allarga giustamente la prospettiva, affinchè sia chiaro a tutti che non è una sforbiciata in più o in meno alle pensioni o ai ticket sanitari a garantire all’economia italiana un futuro degno di tale nome.

«Prima di prendere decisioni sugli strumenti bisognerebbe chiarirsi le idee sugli obiettivi. Va bene riorganizzare l’Istituto per il commercio estero, ridurre il personale in Italia e aumentare quello fuori dai confini. Ma vogliamo confrontarci anche con le Camere di Commercio per vedere chi è più adatto a partire e chi è già partito e può dare una mano sul posto? Finora manca un programma per l’internazionalizzazione, e questo per un paese dove un terzo del Pil dipende dall’import-export è piuttosto grave. Poi, l’internazionalizzazione si fa anche senza muoversi di un passo da casa, ma semplicemente acquisendo qualche impresa straniera. A me però piacerebbe vedere qualche azienda italiana della grande distribuzione che apre all’estero, tipo Esselunga o Coop».

Mentre si polemizza sul’appesantimento dei ticket sanitari, poco si dice circa la definizione di prezzi di riferimento in attesa dell’adozione dei costi standard, l’introduzione di un tetto di spesa, dal primo gennaio 2013, per l’acquisto dei dispositivi medici e di misure di compartecipazione sui farmaci e sulle altre prestazioni del Servizio sanitario nazionale dal 2014. «È giusto tagliare i trasferimenti sulla base dei costi standard della sanità: così si costringono le Regioni all’efficienza. È una misura di equità. Quanto ai ticket, sono uno strumento per limitare l’eccesso di ricorso a esami diagnostici e pronto soccorso». Disco verde anche per l’aumento dell’Irap decretato per banche, assicurazioni e intermediari finanziari. «Purchè però le varie autorità di vigilanza vigilino per davvero: altrimenti finisce che l’aggravio di costi viene scaricato sui clienti». Ma la misura che piace di più a Vignali è quella a vantaggio dei giovani imprenditori (quelli sotto i 35 anni di età): «Se l’imposta forfettaria del 5 per cento assorbe davvero tutte le forme di imposizione che gravano sulle imprese, è una gran bella cosa, è una mossa nella giusta direzione».

Tutto questo e altro ancora, però, Vignali lo considera non sufficiente rispetto alla necessità di convergere sui rigidi parametri europei destinati a diventare sempre più vincolanti almeno per i paesi dell’area dell’euro. «Per tagliare il rapporto deficit/Pil delle decine di punti che l’Europa pretende, bisogna rimettere mano alle privatizzazioni», dice senza esitazioni. «Ci sono importanti aziende statali e parastatali che suscitano grande interesse in acquirenti internazionali: penso al settore energia con Eni, penso ad alcune grandi aziende del gruppo Finmeccanica. Con le giuste garanzie e senza intaccare l’interesse nazionale, si possono cedere attività e settori del valore di miliardi di euro, e destinare gli introiti all’abbattimento netto del debito. Pensiamo anche alla grande miniera dei beni culturali: vanno censiti, valutati in termini economico-finanziari e messi sul mercato in modo appetibile per gli imprenditori privati che volessero trasformarli in fonti di profitto, nel mentre che viene garantita la loro fruizione sociale». Operazioni non semplici, che facilmente potrebbero innescare polemiche interminabili e movimenti di protesta indignata. Ma meglio, molto meglio di una patrimoniale che colpirebbe come al solito la classe media; la quale dopo non sarebbe più tanto media.

Approfondimenti:

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