È proprio necessaria una legge sulle unioni civili? Se si resta agganciati al merito, oggi chi fa parte di una convivenza è effettivamente danneggiato nel rapporto col proprio partner? Sono quesiti che, allorché sta entrando nel vivo l’esame del disegno di legge cosiddetto Cirinnà, dal nome della relatrice al Senato, meritano risposta.
Quasi sempre la discussione trascura che i diritti già riconosciuti ai componenti di una coppia di fatto, per via di intervento legislativo o giurisprudenziale, sono numerosissimi; una disamina attenta e oggettiva fa scoprire, per esempio (si riprende una delle voci evocate con maggiore frequenza), che non vi è nessun ostacolo all’assistenza in qualunque struttura sanitaria del convivente nei confronti del proprio partner. Addirittura – quando il paziente non è in condizioni di decidere e in assenza di coniuge – in base a una legge del 1999, il convivente viene informato e può decidere un’operazione di trapianto di organo, la cui invasività è certamente superiore all’ingresso in una stanza di ospedale.
Norme di parificazione del convivente al coniuge, derivanti dalla legge ordinaria o dalla giurisprudenza, ci sono in tema di assistenza da parte dei consultori, di interdizione e inabilitazione, di figli, di successione nella locazione e nell’assegnazione di un alloggio popolare; il partner di fatto ha titolo, a determinate condizioni, al risarcimento del danno subito dall’altro partner; perfino la legislazione sulle vittime di mafia o terrorismo equipara il convivente al coniuge. Tutto ciò accade perché, a partire dagli anni 1980, ogniqualvolta la legge ordinaria ha sancito un diritto per il coniuge, di regola lo ha previsto anche per il convivente; questo modo di procedere è stato affiancato, in parallelo, da numerose sentenze della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione. E questo accade sia che la convivenza riguardi persone di sesso diverso sia che riguardi persone del medesimo sesso.
Per questo il Comitato Sì alla Famiglia ha elaborato una bozza di testo unico, che ha messo a disposizione dei parlamentari, sul presupposto che la tutela che l’articolo 29 della Costituzione riserva alla «famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» è più specifica rispetto a quella che l’articolo 2 della stessa Carta fondamentale riserva alle «formazioni sociali intermedie», fra le quali la giurisprudenza colloca le convivenze.
Il buon senso, il senso di realtà e la Costituzione non possono equiparare in tutto e per tutto istituti che pari non sono, come il matrimonio e la convivenza. Lo scopo dei 33 articoli che compongono il testo è far emergere quel che l’ordinamento contiene, esplicitamente o implicitamente, in tema di tutela dei diritti dei conviventi: lo raccoglie e lo rende ordinato, fino a costituire un vero e proprio statuto della convivenza, sulla scorta del diritto vivente.
Il dibattito sulle unioni civili sarà meno ideologizzato se resterà ancorato ai testi in vigore; alla fine, l’esposizione di quanto con chiarezza esiste consente di far uscire allo scoperto chi vuole qualcosa di più, e cioè costruire una forma ulteriore di matrimonio e di famiglia: l’importante è che lo dica con onestà, senza nascondersi dietro l’espressione “unioni civili” e senza evocare discriminazioni che non esistono. L’aggancio alla realtà permette di qualificare il ddl Cirinnà per quello che è: il tentativo ideologico di negare il diritto scritto nella natura e nella Costituzione.
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