Il divorzio breve, entrato in vigore in Italia poco più di un anno fa, abbatte da tre anni a sei mesi i tempi di attesa necessari per arrivare alla fine definitiva del matrimonio, in caso di separazione consensuale, sei mesi che diventano al massimo dodici nel caso in cui invece gli aspiranti ex coniugi ricorrano in tribunale. Per questa legge «il gradimento era garantito», ricorda oggi Emanuela Fontana in un articolo per il Giornale. E infatti a quanto pare c’è stato un autentico boom di richieste di divorzi brevi. Una grande vittoria di civiltà per i promotori della riforma, che però sta portando a un esito paradossale: l’allungamento dei termini della procedura. Il divorzio breve, insomma, nei fatti rischia di non essere affatto breve.
TEMPI QUADRUPLICATI. La fila delle coppie desiderose di lasciarsi per sempre e anche in fretta, spiega il Giornale, è già «tale da allungare fino a quattro volte i tempi dei processi». Addirittura sembra essere a rischio il rispetto stesso della norma. «Nelle grandi città i sei mesi previsti dalla nuova legge non potranno mai essere tali se la domande di scioglimento del matrimonio secondo le recenti norme andranno avanti con questo ritmo», scrive la Fontana.
LA CIRCOLARE. A riprova di questo trend il quotidiano cita un «avviso a tutti gli avvocati divorzisti e ai divorziandi affisso sulla bacheca della nona sezione del tribunale» di Milano. La circolare avverte «i Signori Avvocati e gli Utenti» che «in conseguenza del notevole incremento del carico di lavoro dell’ufficio, determinato in particolare dalla riforma dei termini del divorzio (c.d. divorzio breve) entrata in vigore a maggio 2015, i tempi di fissazione dei procedimenti contenziosi e in forma congiunta di separazione e divorzio subiscono un inevitabile allungamento rispetto al recente passato».
I NUMERI. Insomma con la riforma voluta dal governo Renzi «si accorcia il divorzio» ma «si allunga il processo», sintetizza la giornalista. Di quanto si allunga? «Mediamente in questo periodo servono circa quattro mesi per avere una data certa». La Fontana snocciola poi un po’ di dati «per la prima volta resi noti tramite circolare interna, anche se in sede locale, e analizzati». Nel capoluogo lombardo «nel primo semestre del 2016 si è registrato un incremento del 34 per cento dei divorzi congiunti e dell’87 per cento dei divorzi contenziosi rispetto allo stesso periodo del 2015. A livello nazionale tra il 2013 e il 2015 l’aumento generale è lieve (2,1 per cento) ma i divorzi contenziosi sono cresciuti su tutto il territorio del 25 per cento in due anni».
CHE BEL «SUCCESSO». I divorzi congiunti e le separazioni consensuali, continua l’articolo, sono invece «diminuiti sensibilmente», e cioè «rispettivamente del 7,3 e del 19,1 per cento». Un dato che il ministero della Giustizia rivendica come un «successo» perché è dovuto alla «formula della negoziazione assistita», il cosiddetto “divorzio facile”, «per cui in caso di accordi tra le parti i coniugi si possono rivolgere direttamente all’avvocato o all’ufficiale Stato civile dei Comuni, senza passare dal tribunale, accorciando moltissimo i tempi». Evidentemente, però, tale procedura agevolata «non aiuta il tribunale di Milano, anche perché, come rivelano anche da via Arenula, sono in netto aumento i divorzi senza accordo, i divorzi duri, che richiedono uno svolgimento nelle aule di giustizia».
NO UDIENZE ANTICIPATE. È la stessa nota affissa in bacheca dai giudici della famiglia del tribunale meneghino a diffondere i dati riguardanti la città: «Nel secondo semestre 2014 (ante riforma) sono stati iscritti 844 divorzi congiunti e 361 divorzi contenziosi, mentre nel secondo semestre 2015 sono stati iscritti 1116 divorzi congiunti e 539 contenziosi». Il tribunale invita perciò «i signori avvocati a depositare istanze di anticipazione delle udienze solo in caso di comprovate situazioni di grave pregiudizio per le parti, in assenza delle quali le istanze non potranno che essere disattese».
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