Il cielo in un tinello

Tra la reporter della Cnn e l’attrice di “Bridget Jones”: cosa vuoi fare da grande mamma?

Ore 21.15. Bimbi a letto. Marito a calcetto. Mi tuffo sul divano. La tv è tutta mia.

Faccio appena in tempo ad adagiarmi su un programma prodotto da Robert Redford in cui due personalità apparentemente lontane si portano l’una nel mondo dell’altra (il regista Ron Howard e la stella dei Lakers Steve Nash; Michael Stipe degli ormai sciolti R.E.M. e lo chef Mario Batali; lo stilista Tom Ford e l’artista Jeff Koons…), quando sento dei noti passettini lungo il corridoio avvicinarsi al salotto.

Merda.

«Mamma, non riesco a dormire». Ultra-merda.

«Posso stare un po’ qui con te? Solo cinque minuti». L’extra-merda che viene dallo spazio.

«Dormono gli altri due?».

«Sì» (scintillio negli occhi della primogenita: ce l’ha fatta, non ho motivi per cacciarla).

«E va bene, ma solo cinque». Lesta si infila anche lei sotto il plaid di fianco a me. Ma non cambio canale: se vuol star qui si guarda quello che voglio io, non ci mettiamo a vedere se a quest’ora danno Fragolina Dolcecuore.

«Chi sono quelle due signore?», per nulla scomposta, curiosa e avendo ormai capito che le conviene appassionarsi a quel che guardo io.

«Una giornalista che si chiama Christiane Amanpour e un’attrice che si chiama Renée Zellweger» (io ovviamente, nonostante i trascorsi in redazione, so più sulla seconda che sulla prima, ma questo è un inutile “di cui” da spiegare alla quasi 6enne).

«Giornalista come te quando andavi a Milano?».

«Sì. Cioè, lei più di me. Però sì».

«Ma la giornalista è una che legge tanti giornali?».

«No. Bè, anche. Più che altro li scrive».

«Sono famose?».

«Sì».

«Quindi sono ricche?» (questo dato la interessa sempre moltissimo, ma giuro, Vostro Onore, che io di Madonna, di cui è già oltremodo fan, in macchina le faccio ascoltare solo l’ultimo CD, non sono partita da “Material Girl”…).

«Sì. Più l’attrice della giornalista, credo».

«Perché camminano in quel posto vuoto?».

«La giornalista ha portato l’attrice a vedere un posto famoso in America dove una volta c’erano due torri, che sono state abbattute da delle persone un po’ arrabbiate con l’America, e dove ora stanno ricostruendo tutto. Quel palazzo vuoto dove ora camminano è una delle nuove costruzioni».

«Ma c’erano anche i bambini quando sono crollate le torri?».

«Sì».

«Ah».

Cambiando rapidamente discorso: «È una cosa speciale che siano lì, vedi che a parte loro non c’è nessun altro; non danno il permesso a tutti, ma la giornalista è famosa e importante e allora gliel’han dato».

«Tu eri importante e famosa?».

«No. Ma mi piaceva fare quello che facevo. Scrivevo cose sui film, anche di quell’attrice lì. Dovevo…» (ma la sto già annoiando, è già altrove con lo sguardo e con la testa: i bambini vivono nel presente e ti vedono e giudicano per come sei nel presente: i racconti sul tuo passato li annoiano a morte, non riescono a figurarselo il passato, quindi non li riguarda né tanto meno interessa).

«Perché non lo fai più?».

«Ti ricordi? Ci siamo trasferiti, poi siam tornati quasi subito indietro, e dopo poco che siam tornati avevo tuo fratello nella pancia, e ora curo lui mentre voi siete all’asilo e poi anche voi due quando tornate dall’asilo. Ma sto cercando lavoro, è che non lo trovo». (Ora perché diamine mi sto giustificando con lei?).

«Quelle due hanno figli?».

«L’attrice no, la giornalista ne ha uno».

«E dove lo lascia quando va in giro per il suo lavoro?».

«Non lo so, forse ai nonni o a una babysitter».

«Se tu torni a lavorare noi possiamo stare al doposcuola, che bello!» Per qualche strana ragione il “mondo dopo scuola” con la sua misteriosa merenda che viene servita e la sua misteriosa attività che vi viene svolta attira da sempre la curiosità della primogenita, in barba al pensiero auto-rassicurante della sottoscritta “bè, almeno non lavorando sto di più con loro”.

Eccomi incastrata (come ci riesce la primogenita non ci riesce nessuno nella vita, nel mondo): scagionandomi dal senso di colpa di “lasciarli” per tornare a lavorare, mi ha buttato addosso ancora di più la fregola di “doverlo” trovare (ma non lo sto già cercando?).

Insomma, mia figlia, di anni nemmeno 6, mi ha appena chiesto cosa voglio fare da grande, a cosa tengo, cosa desidero. E io ho balbettato. A dirla tutta, per una frazione di secondo ho quasi – insanamente – sperato che la risposta potesse arrivare da lei. Tutte quella pretesa di insegnar loro qualcosa (anzi, tutto) e poi: balbetto. A volte conviene ascoltarli, ascoltarli bene: risposte non ne hanno, ma le domande, quelle le san fare bene.

«Ora è tardi signorina, vai a letto».

Sbuffa, alla fine s’era appassionata davvero: «’Notte mamma».

«’Notte».

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1 commento

  1. chiara

    Bello!grazie

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