Oggi la polizia su mandato della procura antimafia di Palermo ha arrestato 5 persone per la strage di Lampedusa, in cui il 3 ottobre 2013 morirono in un inferno di fiamme e onde 366 persone. Nove mesi dopo, mancano ancora all’appello altre 4 persone, per le quali è stato emesso un mandato di arresto e che si trovano all’estero, dunque irraggiungibili.
OPERAZIONE GLAUCO. L’inchiesta, denominata “operazione Glauco”, ha portato all’arresto stamattina delle cinque persone, tutte di origine eritrea e residenti oggi ad Agrigento: Tesfahiweit Voldu, 24 anni, Samuel Weldemicael, 26 anni, Mohammed Salih, 24 anni, Matywos Melles, 47 anni, Nuredin Atta Wehabrebi, 30 anni. Sono ancora ricercati invece Yared Afwerke, eritreo di 24 anni (e residente anche lui ad Agrigento), Shamshedin Abkadt, eritreo di 29 anni e residente a Milano, Ermies Ghermaye (alias Ermiasnato Ghermay) etiope domiciliato a Tripoli, in Libia, e John Maharay, sudanese domiciliato nella capitale del suo paese, Khartoum.
STUPRI DI MASSA. Secondo l’accusa le nove persone avevano creato un’associazione finalizzata all’immigrazione clandestina, una vera e propria “tratta” dei disperati, ai quali veniva garantita anche la permanenza clandestina. I due capi dell’organizzazione sono un sudanese e un libico, accusati di gestitre il giro d’affari legato all’immigrazione illegale, organizzando viaggi: il primo sulla rotta dal Sudan alla Libia e l’altro con la traversata del canale di Sicilia (quest’ultimo uomo, il libico, si manteneva in stretto contatto telefonico con l’omologo sudanese, con cui si coordinava). Le indagini sono state avviate subito dopo la strage di Lampedusa, e hanno ricostruito, testimonianza dopo testimonianza, anche i tasselli intermedi del viaggio della speranza di tanti somali ed eritrei: le tappe nel deserto sono spesso caratterizzate da stupri di massa, segregazioni ma anche di truffe e sfruttamenti di tutti i migranti, anche di coloro che hanno percorso le rotte della speranza prima di quel 3 ottobre.
LA CELLULA ITALIANA. Tali viaggi, secondo la ricostruzione dell’accusa, sarebbero stati resi possibili proprio grazie all’appoggio della cellula eritrea in Italia, che permetteva la permanenza nel nostro paese a tutti coloro che sbarcavano dal canale, sia che si fermassero stabilmente qui, sia che proseguissero verso il nord Europa o il nord America. Sono risultate particolarmente agghiaccianti alcune delle intercettazioni telefoniche raccolte in questi mesi di indagine. Nei giorni successivi alla strage di Lampedusa sono state 30mila le telefonate intercetatte, e all’indomani del disastro in mare gli appartenenti alla cellula, senza alcuno scrupolo, chiudevano l’accaduto commentando: «Inshallah! Così ha voluto Allah». Spesso inoltre gli uomini parlavano della tratta di umani come del loro vero e proprio lavoro: «Per me l’America è qui, non voglio lasciare la Sicilia» diceva uno di loro. Secondo quanto emerso dalle indagini, ogni barcone di migranti, ha fruttato ai trafficanti complessivamente un milione di euro.
I DUE SCAFISTI. Intanto oggi sono stati individuati dalla polizia i due scafisti del peschereccio con a bordo trenta cadaveri recuperato ieri: tra i 566 superstiti molti hanno testimoniato ciò che accadeva a bordo. «Eravamo troppi, senza cibo, acqua e chi era nella stiva vicino al motore non riusciva a respirare»: inoltre alcuni hanno riferito di violenze subìte dai libici, solo perché centro africani. «È stata tutta colpa loro, ci hanno messo li dentro come le bestie e non potevamo neanche uscire perché sopra era tutto pieno, non ci potevamo muovere». Qualcuno ha anche raccontato: «Abbiamo chiesto di tornare indietro perché eravamo troppi e rischiavamo ma non c’è stato nulla da fare, ci hanno detto ormai siete qui e dobbiamo arrivare in Italia»