Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
L’Istat presenta il rapporto annuale sulla condizione del paese. Giorgio Alleva, il nuovo presidente dell’Istat messo lì da Renzi, risponde all’intervistatore di Sky prevenuto, come il padre del somaro della classe che fa anticamera ai colloqui con gli insegnanti e quella stronza della mamma del secchione, in attesa del suo turno per coprirsi di allori, gli chiede: «Come va?». Leva gli occhi al cielo, Alleva.
Nonostante la domanda da 6- del giornalista, abbozza una risposta mainstreaming ma si impappina nella lingua di Dante e si ammutolisce in una supercazzola non sbobinabile. Povero Alleva, tutta colpa dei suoi subordinati insubordinati, quegli statistici dell’Istat che non hanno ancora imparato ad ammaestrare quei dati così feroci, con poveri e disoccupati a milioni che rovinano la festa. E che impediscono di declamare: «Ora l’inverno del nostro scontento si è mutato in gloriosa estate grazie a questo sole di York…, pardon, di Rignano». Now is the winter of our discontent…
Ben altra performance di statistica applicata quella del cardinale Bagnasco, il 17 maggio scorso, alla 69esima Assemblea generale della Cei: «Dall’inizio della crisi l’occupazione è caduta del 4,8 per cento, una delle contrazioni più rilevanti in Europa: i dati ricorrenti dicono che la fascia tra i 15 e i 24 anni in cerca di lavoro è prossima al 40 per cento contro il 22 per cento della media europea: in termini percentuali siamo i peggiori, subito prima della Bulgaria. (…) Il peso della vita quotidiana, alla ricerca dei beni essenziali, diventa sempre più insostenibile, compreso il bene primario della casa. La povertà assoluta investe 1,5 milioni di famiglie, per un totale di 4 milioni di persone, il 6,8 per cento della popolazione italiana! (…) Le nostre parrocchie vedono le file di coloro che cercano un pasto alle nostre mense: sono stati ben 12 i milioni di pasti distribuiti nel 2015. (…) Finalmente, dopo anni che lo richiamiamo, oggi perlomeno si parla di inverno demografico: l’immagine – seppur efficace – non suscita però ancora la necessaria coscienza della gravità. (…) I dati Istat rimangono impietosi: quelli del 2015 sono i dati peggiori dall’unità d’Italia. Lo scorso anno, a fronte di 653 mila decessi, le nascite sono state 488 mila, mentre 100 mila italiani hanno lasciato il paese. La demografia è un indicatore decisivo dello stato di salute di un paese».
Eminenza, ci perdoni, non è che – part-time, s’intende – potrebbe fare anche il presidente dell’Istat?
Foto Ansa