Sgarbi: «Insensato applicare la nostra morale ad artisti vissuti in altri tempi»
Articolo tratto dal numero di gennaio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Sulla damnatio memoriae e il processo alla moralità di Gauguin e compagni Vittorio Sgarbi ha poco da aggiungere: «Cosa vuole che stia succedendo, succede che abbiamo direttori di musei sempre più coglioni che, invece di occuparsi di storia, si occupano di mode e di contemporaneità».
Nessuno è immune dal ricatto morale dei custodi dei nuovi luoghi comuni che rendono «la società giustiziera», è capitato a Dolce e Gabbana «quando si sono schierati contro il diritto al figlio in vitro», capita a chiunque applichi la moralina del nostro tempo al passato criticando l’assenza di Maddalena nell’Ultima Cena di Leonardo, «un incontro per soli uomini, non è che invitavano anche le signore».
La tentazione di fare il processo alla storia così come in voga in tanta parte dei musei occidentali è però per Sgarbi «indice di una incapacità di fare storia. Gauguin ha sempre comunicato un’esaltazione del mondo selvaggio in libertà, tutto il contrario del revisionismo moralisticamente applicato dai suoi detrattori. Bastava un approccio serio alla restituzione del contesto storico e psicologico dell’epoca».
Stesso discorso per i tentativi di riparazione ai danni perpetrati nell’epoca del politicamente corretto da titoli e opere di artisti moralmente discutibili, «ogni cosa è legittima quando viene fondata su elementi oggettivi. Altrimenti diventa propaganda. Vendicarsi, prevaricando il singolo, censurando o discriminando un artista condizionati dai criteri del giudizio figlio dei nostri tempi e delle posizioni di una parte della società, è una idiozia e non vedo come possa incidere sulla sostanza delle cose. Non ha senso applicare la morale e i diritti del nostro tempo a chi ha vissuto in un altro tempo».
Chiunque faccia arte non ha né ha mai avuto l’obbligo di essere politicamente corretto, «un termine inusabile». Altrimenti dovremmo giustificare la censura di una società rispondente ai princìpi nazisti nei confronti di Mueller, la restituzione del patrimonio dei vinti traslato nei musei dei vincitori, il rogo degli scritti di Pasolini, processato per atti sessuali nei confronti di suoi allievi minorenni.
Foto Ansa
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