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Scuola. Renziani del Pd ci consegnano il loro sì a una rivoluzione di vera autonomia e parità. #Cambiamoverso?

Il sottosegretario Roberto Reggi e la deputata Simona Malpezzi rottamano da sinistra l'ideologia dello Stato unico educatore. Sì a parità reale, autonomia e valutazione degli insegnanti. È questa la vera prova di maturità per Renzi

Laura Borselli
07/06/2014 - 2:00
Interni
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«Segnalateci una scuola e vi aiuteremo a ripararla». Col caratteristico stile diretto a costante rischio sfrontatezza, Matteo Renzi poco più di un mese fa iniziava l’applicazione del suo #cambiaverso al mondo dell’istruzione. È il piano di edilizia scolastica, il primo (e per adesso l’unico) ambito del complesso mondo della scuola italiana in cui l’ex primo cittadino di Firenze si sia cimentato da quando è diventato presidente del Consiglio. Alla famosa lettera i sindaci hanno risposto segnalando un edificio scolastico per il quale richiedevano l’intervento del governo e ora si sta entrando nella fase due, quella in cui i circa 4.400 primi cittadini che hanno avuto il primo via libera devono presentare i progetti e per cui potranno approfittare di un allentamento del patto di stabilità.

Parlare di numeri e tempistica (croce e delizia della narrazione renziana del mondo) tocca al sottosegretario all’Istruzione Roberto Reggi, ex sindaco di Piacenza e vicinissimo al rottamatore, per il quale coordinò la campagna alle primarie del 2012. «Trecento milioni arrivano dal risparmio ottenuto con la ridiscussione di una gara Consip sulle pulizie degli edifici: invece di spendere 600 milioni ne spenderemo circa la metà e con quelle risorse finanzieremo circa 7 mila piccoli interventi nelle scuole a partire da luglio: ritinteggiature, riparazioni di vetri o porte, cura del verde e così via. Aggiungiamo poi 150 milioni riassegnati come risorse già esistenti e non utilizzate nell’ambito dei fondi europei della programmazione 2007-2013 e arriviamo a 450. Poi per soddisfare le richieste dei sindaci che hanno risposto all’appello di Matteo, con un decreto del 24 aprile abbiamo sbloccato 120 milioni sul 2014 e una cifra analoga sul 2015 rispetto al patto di stabilità. E sottolineo che questo ha un grosso effetto moltiplicatore: liberando le risorse bloccate dal Patto se ne liberano anche molte altre». Poi ci sono (disponibili a partire dal 2015) i mutui con totali oneri a carico dello Stato «su cui stiamo completando il decreto attuativo. Tra il 2014 e il 2015 dunque interverremo su circa ventimila scuole. Non è poco».

Per il resto, al netto delle citazioni di rito sulla centralità dell’educazione nel futuro del paese, nel modus renziano di parlare di scuola c’è molto spazio per la manutenzione ordinaria e poco per grandi disegni di riforma. «Partiamo da un presupposto – spiega Simona Malpezzi (Pd), membro della Commissione Cultura della Camera con una lunga esperienza di insegnante di storia alle spalle – noi non siamo dell’idea che chi arriva deve smantellare quello che è stato fatto prima. La scuola non ha bisogno di riforme adesso, ma di funzionare. E per farlo ha bisogno che non si parli soltanto dei pur importanti problemi del personale scolastico, ma di educazione».

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Valutazione? Una bella parola
Nei giorni in cui il rottamatore diventato premier ingaggia una battaglia contro la Rai (il fatto che il canone sia una delle tasse più indigeste agli italiani può dare un’idea a spanne del ritorno di immagine dell’operazione in corso), è lecito chiedersi se analogo zelo da spending review rischi di venir applicato anche tra i banchi. «Il contributo dei sindacati – riprendere l’onorevole Malpezzi – è importante. Quale sindacato potrebbe essere contro un concetto come la valutazione degli insegnanti? Valutare non significa fare qualcosa contro gli insegnanti, ma valorizzarli, metterli in condizione di lavorare meglio». Come non ricordare la cosiddetta polemica delle 24 ore di una manciata di mesi fa, che oppose gli insegnanti al governo Monti, deciso a farli lavorare di più. «Vissi quella polemica da docente e le assicuro che non ho trovato un solo collega contrario a un lavoro maggiore, purché venisse riconosciuto contrattualmente. Adesso c’è tanto lavoro che gli insegnanti fanno senza che venga riconosciuto, perché quella della lezione frontale è solo una minima parte del lavoro. Occorre trovare delle forme contrattuali che possano ricompensare chi è disponibile ad aumentare e migliorare le proprie competenze. Come accade in tanti paesi d’Europa».

L’altra parola d’ordine è autonomia. Che doveva essere la grande marcia in più per la scuola italiana, ma che, se svuotata dalla mancanza di fondi, rischia di diventare solo una beffa. «L’incertezza di risorse – nota infatti il sottosegretario Reggi – ha causato grandi problemi alle scuole, impedendo una seria programmazione nel senso dell’autonomia. Occuparsi di emergenza educativa, in un momento in cui è in crisi anche la famiglia, significa ricominciare a parlare seriamente di queste cose, al di là degli slogan».

Nel 2000 fu un ministro dell’Istruzione di sinistra come Luigi Berlinguer a firmare la cosiddetta legge sulla parità, con cui si metteva nero su bianco che il sistema scolastico italiano è costituito dalle scuole gestite dallo Stato e da quelle paritarie, gestite dai privati ma in grado (e in dovere) di svolgere un servizio a tutti gli effetti pubblico. Sono passati quasi 15 anni e ancora, a sinistra soprattutto, si parla di scuole dei ricchi e scuole per tutti, con le prime contrapposte alle seconde. Riuscirà Matteo, investito di quell’onnipotenza che la sbornia mediatica sembra sempre attribuire ai vincenti, a rottamare anche certi pregiudizi ideologici? «La legge 62 – osserva Malpezzi – è stato un grande segnale verso una scuola che sia veramente europea. Dove c’è autonomia e dove la parità sia riconosciuta. È un tema su cui c’è troppa ideologia da una parte e dall’altra. Le paritarie aiutano lo Stato a fronte di un piccolissimo contributo che ricevono e che è niente rispetto al bilancio generale. Svolgono un grande servizio allo Stato, soprattutto nel settore dell’infanzia. Chi parla di togliere finanziamenti alle paritarie per darli alle statali non sa di cosa parla e non tiene conto del danno, anche economico, che lo Stato avrebbe se domani le paritarie smettessero di funzionare».

Controlli e diritti
Sulla stessa linea il sottosegretario Reggi, che da sindaco di Piacenza ha avuto modo di sperimentare che «le paritarie sono una manna dal cielo: ci permettono di completare l’offerta educativa. Io da sindaco avrei avuto grossi problemi senza il sistema delle scuole paritarie. E le dirò che sto studiando il modo per estendere il tema dell’edilizia scolastica anche alle paritarie. Le paritarie vanno sostenute in tutti i modi, verificandone la qualità ovviamente». E se si cominciasse sanando la discriminazione per cui le scuole gestite dallo Stato non pagano l’Imu, mentre quelle gestite dai privati sì? «Sì – risponde Reggi –, dobbiamo trovare un modo per risolvere questo problema senza incorrere in sanzioni europee. Credo che il peso di cui Matteo Renzi gode in Europa, soprattutto dopo queste elezioni, ci possa fare ben sperare».

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